Brulotti

Il Parlamentarismo

 

Charles Albert
 
La critica al parlamentarismo è stata fatta in tantissime maniere.
Alcuni hanno calcolato in modo ingegnosissimo come i nostri sistemi di rappresentanza e di maggioranze siano impotenti ad esprimere l'opinione dela maggioranza. Io non so se questi calcoli siano esatti; ma vi sono purtroppo tantissimi casi in cui le opinioni della maggioranza degli eletti vanno in perfetto accordo con quelle della maggioranza degli elettori, e tali opinioni non son di quelle che ci fanno onore.
Altri hanno dipinto con colori assai foschi e quasi sempre esatti l'ignobile mercato delle coscienze, i cinici e sfrontati contratti, le epoche delle declamazioni ciarlatanesche, degli incensamenti, delle menzogne, epoche in cui si matura ciò che si chiama la nostra rappresenranza nazionale. Ma non indugiamo in questo lato della questione. Facciamo conto, se volete, che sia questa semplicemente la parte brutta inerente a qualunque impresa umana.
È stato detto che i parlamenti sono basse officine di affari, in cui non si trattano seriamente che gli interessi del commercio e del denaro. Ammettiamo che ciò non sia completamente giusto. Fra i deputati, come altrove – benché meno che altrove, è cosa indiscutibile – vi sono delle brave persone che adempiono con tutta coscienza e in modo disinteressato al loro dovere.
È cosa evidente, come pure è stato fatto notare, che questo dovere non corrisponde a qualche cosa di molto elevato né di molto audace, poiché, non appena mette piede in un'assemblea deliberante, l'individuo viene immediatamente penetrato dall'irresistibile ambiente di moderatismo e di debolezza ivi dominante. In seguito a qualche combinazione felice possono là incontrarsi, come altrove, uomini noncuranti degli interessi di partito e di corpo, superiori alla legge degli ambienti e i quali ricercano le tribune politiche per diffondere da esse delle ardite verità.
Da parte dei rivoluzionari si afferma spesso che un parlamento non può produrre che riforme insignificanti. Ora, non sono delle riforme che a noi occorrono, ma una radicale trasformazione che colpisca la base stessa della società, cioè la maniera stessa di produzione e di ripartizione delle ricchezze. Certo, alcune riforme non sono da disprezzare: quelle principalmente che tendono a sviluppare l'igiene, ad estendere e a migliorare l'istruzione, a diminuire le ore di lavoro, ad accorciare l'odioso servaggio militare, a neutralizzare gli sforzi delle religioni, a liberare la donna dalla schiavitù che grava ancora su di lei, ecc. È impossibile negare che per tutte queste strade non ci s'incammini precisamente un poco verso la rivoluzione.
Il vero capo di accusa contro il parlamentarismo, il più forte e il più grave, il solo che sia inconfutabile e che domini da un punto assai più elevato tutti gli altri, è che il parlamentarismo costituisce una vera scuola di pigrizia morale e di servaggio. Non esiste miglior meccanismo di esso per uccidere negli uomini l'indipendenza, la dignità, l'iniziativa, il gusto e la volontà dell'azione, quanto è a dire, per avvilire a poco a poco i caratteri. E ciò non soltanto presso coloro che vengono eletti, – ciò che non sarebbe gran che, dato il loro numero ristretto e la qualità generalmente inferiore della loro intelligenza e della loro moralità – ma, ciò che è più grave, presso la grande massa di coloro che votano, di coloro che così presto, e ahimé! così esattamente, sono stati chiamati il gregge degli elettori.
Nessuno potrà negare i vantaggi che nella vita pubblica come nella vita privata si ritraggono dall'azione variata, frequente, spontanea e libera. Ora, l'elettore è un uomo che agisce una volta ogni quattro anni. E in qual modo agisce a questi intervalli così distanti? Unicamente per rimettere nelle mani di un altro il suo diritto di agire. Ogni quattro anni l'elettore compie una certa formalità che ha la virtù di sbarazzarlo da ogni preoccupazione, di metterlo completamente in regola colla propria coscienza. Come poter ottenere in seguito qualcosa da una coscienza così tranquilla? Qualunque siano le iniziative e le bisogne nuove che possono essere imposte, e sono, infatti, imposte dalle necessità della lotta, qualunque siano ad ogni momento le occasioni per gettarsi in una lotta nuova e sperimentare tattiche nuove, il buon elettore rimane impassibile, perfettamente incomprensivo, indifferente, perché già una volta ha deposto nell'urna un piccolo pezzo di carta e presto ve ne deporrà un altro. Ed ogni volta che voi direte a quest'uomo: «Vi sarebbe da far questo e questo, e poi quest'altro ancora, perché è cosa urgente e il tempo stringe», il buon elettore vi rimirerà colla stessa aria di stupore colla quale un ricco borghese guarda un misero crepar di fame alla sua porta, dopo ch'egli si è già dato la pena di versare dieci franchi all'anno ad un'istituzione di beneficienza. Votare, per la maggior parte, significa potersi lavare le mani dagli affari pubblici. E qual segreta disposizione non abbiam noi tutti per il famoso gesto di Pilato?
Che cosa volete mai aspettarvi dalla attività, dalla energia, dalla iniziativa di un uomo, nella lotta politica, quando questo uomo, l'elettore, ha ricevuto da uno specialista in materia poltica e da uno specialista circondato da prestigio, l'eletto, l'assicurazione che tutti i suoi desideri saranno prontamente soddisfatti, purché egli, l'elettore, dopo compiuto il suo dovere, se ne rimanga quieto e tranquillo? Come potrebbe agir liberamente, secondo le proprie decisioni e l'ispirazione delle circostanze, colui il quale, col suo voto, ha patteggiato con un partito, ha contratto impegno con l'uomo e col programma di un partito, colui che è egli stesso l'uomo di un partito? Perciò, arrivato il gran giorno di esercitare la sovranità popolare, il cittadino libero, il sovrano, non ha nemmeno da ricercare, a suo rischio e pericolo, colui che gli sembra il più degno della sua coscienza, la qual cosa esigerebbe ancora una certa parte di sforzo e di responsabilità. No. E del resto, come lo potrebbe? Egli è, senza saperlo, il più delle volte uomo di partito, e accetta ad occhi chiusi l'uomo del suo partito. Che questi sia poco onesto, tanto peggio. L'uomo più corrotto del nostro partito, non val forse meglio che il più onesto del partito avversario? In materia d'elezioni, è il partito che fa tutto. Ognuno presenta la sua mercanzia, come ogni banco della fiera offre ad ogni compratore un prodotto differente.
E una volta che ciascuno, bene o male, ha ritrovato il suo distintivo, sempre avanti per il partito, di cui ciascuno, sia elettore che eletto, rimane schiavo sino alla vergogna, sino alla infamia.
 
 
[La Protesta Umana, anno I, n. 5, giugno 1902]