Brulotti

Una fogna!

 

Emile De Saint-Auban
 
Alle plebi la vostra rivoluzione prometteva il benessere, e mai il proletariato fu vittima di frode più atroce. Rubando, la borghesia gli aveva promesso la ripartizione del bottino, ma non tenne la promessa, tenne per sé sola il frutto delle conserte rapine. Al proletariato non diede nulla, gli tolse anzi quello che gli apparteneva inaridendo nell'animo suo la fonte delle rassegnazioni consuete.

I paria videro così che alla nobiltà drappeggiata di seta – la quale era succeduta all'aristocrazia cinta di ferro – una nobiltà insolita, più implacata e più esosa che le altre due, veniva a succedere: la nobiltà corazzata d'oro, la quale in materia di pane e di rifugio non sa offrirgli che la galera.

Così, la nostra società democratica offre ai malfattori ed ai poveri lo stesso tetto. Ai suoi occhi il non aver domicilio stabile, il non avere neanche un portafogli, è delitto imperdonabile.

Deluso, esacerbato, il reietto manda un grido immenso d'angoscia che si ripercuote in tutta la nostra letteratura.

Enrico Heine maledice:

«È giudicata da un pezzo e condannata questa vecchia società. E la giustizia si compia! e sia disperso il mondo barbogio... in cui l'innocenza è morta, in cui l'egoismo è prosperato, e l'uomo è sfruttato dall'uomo. E sia fatta tabula rasa dei sepolcri imbiancati in cui si rifugiano la menzogna e l'iniquità!».

Maledice Lamennais:

«Noi diciamo che la nostra società non è una società affatto, che non ne è neppur l'ombra, che è un aggruppamento di esseri difficilmente qualificabili: amministrati, manipolati, sfruttati a vostro capriccio, un parco, un armento, uno strupo di bestiame umano destinato a saziare le vostre libidini».

Victor Hugo bestemmia:

«E che società è mai questa se ha per base tanta sproporzione ed ingiustizia? Non sarebbe il caso di prender la tovaglia pei quattro capi e mandar al diavolo la mensa, il convito, la sbornia, i convitati, quelli che a due gomiti vi stanno assisi e quelli che vi ruzzolano sotto a quattro gambe, e di risputare alla faccia di dio tutta la terra? Dall'inferno dei poveri si edifica il paradiso dei ricchi».

Non soltanto la prosperità non è venuta, anche l'onore se n'è andato.

Flaubert constata:

«Con lo sviluppo della produzione capitalista l'opinione pubblica europea ha dimesso pur l' ultimo lembo di coscienza e di pudore; ogni nazione si reca a gloria cinicamente ogni turpitudine che acceleri l'accumulazione del capitale».

E lo stesso Flaubert riassume freddamente spietato le condizioni del mondo moderno in questi termini che svergognano, che sputano sulla faccia della società:

«Noi non danziamo su di un vulcano ma su la tavola d'una latrina, e la tavola mi pare discretamente fracida».

Che cosa direbbe il Flaubert oggi dopo tante infamie, tanta corruzione, tanta ignominia! Quali colori non troverebbe questo impeccabile artista ad abbozzarci il quadro delle onte e delle turpitudini!

Come scrive Louis de Grammont, ad ogni scadenza la grande malattia sociale prende caratteri più acuti.
Lugubri scene aggravano il dramma proletario. Chi sarà l'Omero di tanta Iliade?

Ha ragione Baudelaire:

«È impossibile, quale che sia il partito a cui siamo legati, i pregiudizi tra cui siamo cresciuti, non commuoverci allo spettacolo della folla malaticcia che respira la polvere delle officine, ingoia il cotone, s'impregna di piombo, di mercurio, alla creazione del capolavoro; che dorme fra i pidocchi, nei fondachi dove le virtù più umili e le più grandi s'adagiano accanto ai vizi più turpi ed al rigurgito della galera, di questa moltitudine esausta e languente a cui la terra deve le sue meraviglie, che sente nelle vene un sangue vermiglio ed impetuoso, e getta uno sguardo lungo di tristezza al sole e lungo l'ombra dei grandi parchi».

C'è da meravigliarsi se il grido di dolore si muta in grido di rivolta?

C'è da meravigliarsi se, disconosciuto, irriso dai suoi sfruttatori scellerati, il proletariato come il bandito di Schiller vi grida:

«Voglio vivere! Ho il diritto di vivere, e poiché la società questo diritto mi nega faremo una società nuova. Ogni società si è iniziata colla violenza: le prime aggruppazioni umane furono società armate; facciamo un mondo, ricominciamo la storia: la nostra società di briganti sarà più equa che questa vecchia società dispotica in cui i cuori più nobili sono predestinati al martirio...».
 
Difendendo Jean Grave dinanzi alle Assise della Senna.
 
 
[Cronaca Sovversiva, Anno XVI, n. 12, 23 marzo 1918]