Brecce

Il primo maggio di Jakob Law

Place de la République, Parigi, 1 maggio 1907. Fin dal mattino diversi reggimenti di fanteria occupano il terrapieno centrale, mentre due reggimenti di corazzieri girano instancabilmente attorno alla piazza, respingendo manifestanti e curiosi sui marciapiedi. Chiunque non ottemperi sufficientemente in fretta all'ordine di scioglimento viene arrestato e condotto alla caserma Prince Eugène, in rue de Château d'eau. Nel giro di qualche ora nelle sale sovraffollate vengono rinchiuse 776 persone, in attesa di comparire davanti a un giudice istruttore che conduce i suoi interrogatori nella caserma stessa. Tutti saranno rilasciati nel corso della giornata, ad eccezione di una decina di loro, accusati di oltraggio e ribellione nei confronti della forza pubblica. In totale, vengono sequestrati ai manifestanti 116 pistole e 210 coltelli. Una quindicina di stranieri, in maggioranza russi, polacchi e rumeni, sono spediti alla Sûreté per un controllo d'identità, e 6 di loro incarcerati alla Santé per violazione della legge di soggiorno degli stranieri.

Alle 16.30, l'omnibus 142 che collega la piazza della Bastiglia a quella della Madeleine si ferma sul boulevard du Temple, all'altezza del Circo d'inverno. Un giovane uomo, vestito con un abito di panno grigio chiaro e con una bombetta in testa, sale e prende posto in alto, sull'imperiale, di fronte alla carreggiata. Ha un volto rotondo incorniciato da boccoli biondi, occhi chiari, un'espressione solenne. Appena prima dell'angolo della rue du Temple, davanti ai magazzini del Pauvre Jacques, si alza di scatto, estrae un revolver dalla tasca e spara in direzione della truppa. Una pallottola rimbalza sulla corazza di un cavaliere, un'altra attraversa il cappotto di un fante. Il giovane non fa tempo a sparare una terza volta che già i passeggeri più vicini lo attorniano, lo afferrano e lo colpiscono. Una donna gli sferra perfino un'ombrellata. I vigili, prontamente accorsi, si impadroniscono di lui e lo tirano giù dall'imperiale. Ma ancor prima di aver messo piede a terra, viene strappato agli agenti e gettato a terra: una gragnuola di calci, pugni e bastonate si abbatte su di lui. Nel giro di poco tempo viene ridotto ad uno straccio sanguinante, con tre denti spezzati, ciuffi di capelli strappati e ricoperto di lividi. Il giorno dopo L'Humanité denuncerà la «povera folla beata e pecorile che spinge fino all'assurdo la paura dell'autorità e che addirittura, all'occorrenza, presta man forte ai “lavoratori del pestaggio”».
A fatica, gli agenti riescono a sottrarre alla folla scatenata il giovane tiratore e lo trascinano senza indugio fino alla caserma, dove riceve le prime cure. Si trova in uno stato così pietoso che il fotografo addetto alla schedatura deve rinviare il suo lavoro. Interrogato dal giudice Chênebenoît, che si trova in caserma fin dal mattino, egli dichiara di chiamarsi Jacob Law, d'essere di nazionalità americana e di aver agito da solo. Si rivendica anarchico individualista e spiega di aver voluto colpire gli ufficiali per difendere «il fratello operaio».
Figlio di Abraham Law, sarto per uomo, e di Lobel Gourevitch, Jacob Law è nato a Balta il 15 maggio 1885 ed ha ricevuto una buona istruzione. Nel 1905, fuggendo la miseria e i pogrom, lascia l'Ucraina con la madre e la sorella per raggiungere il padre e il fratello maggiore negli Stati Uniti. Ma se ne pente e, nel luglio 1906, senza avvertire i suoi genitori, si imbarca con destinazione Liverpool su una nave che trasporta bestiame. Dopo un breve soggiorno a Londra arriva a Parigi l'8 agosto 1906, e si presenta presso la zia materna, rigattiera al mercato del Carreau du Temple. È affamato, sporco, coperto di stracci. Lei gli offre ospitalità ed avvisa i suoi genitori, i quali gli inviano del denaro. Un giovane sarto rumeno, incontrato in un laboratorio della piazza Clichy dove è stato assunto come apprendista, gli procura in seguito un alloggio presso un collegio polacco, al n. 51 di rue Ordener.
Il processo a Jacob Israel Law, detto Law, si apre l'8 dicembre 1907. Le testimonianze dei suoi vicini lo descrivono com un giovane erudito, poliglotta, ma psicologicamente fragile. Una caduta sulla testa all'età di dodici anni e una brutta febbre tifoide due anni dopo avrebbero disturbato il suo equilibrio mentale. Gli esperti psichiatri, convocati all'udienza, gli riconoscono un'attenuante: «Ha gusti d'indipendenza, legge i filosofi, Nietzsche, Kant, Schopenhauer, ed i pensatori anarchici Bakunin, Kropotkin e Reclus. È un degenerato, ma non pazzo!». Quanto a loro, i suoi avvocati evocano i sanguinosi pogrom d'Odessa e di Kichinev perpetrati da folle irreggimentate di soldati e poliziotti zaristi; avrebbero sconvolto l'equilibrio nervoso del loro cliente e fatto nascere in lui l'odio per l'autorità. Il procuratore, severo nella sua requisitoria, se la prende con gli autori «senili» che hanno pervertito il suo pensiero in un'età in cui avrebbe dovuto piuttosto «interessarsi alle sottane che passano». Jacob, pur affermando le sue convinzioni anarchiche, non assume un atteggiamento di rottura. Evoca una forza irresistibile che l'avrebbe indotto a sparare. Alla lettura della sentenza, quindici anni di lavori forzati e venti di divieto di soggiorno, non manifesta alcuna emozione.
Il 6 dicembre 1907 lascia la prigione della Santé per Saint-Martin-de-Ré, anticamera del bagno penale. Sei mesi più tardi viene imbarcato per la Guyana, dove arriva l'8 agosto 1908. Si mostra insubordinato, rifiutando per principio ogni favore, tutti i posti protetti che gli vengono proposti: sarto, scrivano, cuoco. I lavori forzati saranno la sua condanna per diciassette anni ed accumulerà punizioni nelle segrete per il rifiuto di lavorare. A Parigi non ha frequentato ambienti militanti, ha agito da solo, ma viene organizzata una mobilitazione in suo sostegno. Il Comitato di Difesa Sociale domanda che la legge di amnistia votata nel febbraio 1909 per tutti i reati di sciopero e fatti connessi in precedenza, venga applicata a Law che ha agito un primo maggio, giorno di mobilitazione operaia. Fra il 1910 e il 1914, il suo caso viene evocato a più riprese sulle colonne de La Guerre sociale e de La Bataille syndacaliste. I libertari ritengono che sia stato condannato duramente perché anarchico, ebreo e straniero.  «Il suo gesto — dichiara uno di loro durate una iniziativa di sostegno — è quello del ribelle che mostra alla folla in fuga davanti all'esercito che esistono uomini che sanno fare altro che tendere il culo agli stivali della polizia».
Jacob Law sarà liberato il 10 maggio 1924, ma come ogni condannato a più di sette anni di lavori forzati viene sottoposto a fine pena all'obbligo di residenza in Guyana. «È là — scrive Law nelle sue memorie — che inizia il vero bagno. Né lavoro, né cella, né cibo. Arrangiatevi! Soffrite! Ma non lasciate questo bel paese!». Law tenta di evadere. Ripreso, viene nuovamente incarcerato, a Saint-Laurent-du-Maroni, dove resta fino al 21 aprile 1925. Definitivamente libero grazie agli sforzi congiunti di militanti parigini e della sua famiglia che non l'ha mai abbandonato, lascia la Guyana all'inizio di maggio per arrivare a Parigi alla fine del mese di giugno 1925, diciott'anni dopo aver commesso il suo atto di propaganda del fatto. Più volte animatore di conferenze sul bagno penale, organizzate dal Comitato di Difesa Sociale o da gruppi anarchici, sostiene soprattutto la causa di Eugène Dieudonné; al bagno penale ha conosciuto, e stima, quell'anarchico condannato ai lavori forzati a vita nell'ambito della vicenda Bonnot. 
Nel 1926 pubblica le sue memorie per le edizioni l'Insurgé. Scrive: «Sono sempre stato anarchico e sono stato per diciott'anni forzato […]. Il mio desiderio più grande è di essere compreso».
Le sue tracce si perdono a partire dall'aprile 1926. Espulso dalla Francia, ha probabilmente raggiunto la Russia, come aveva intenzione di fare. Possiamo solo immaginare che, con un passato come il suo e un carattere così riottoso, abbia assaporato il lavoro forzato sotto altre latitudini.
 
 
[Article11, n. 12, maggio-giugno 2013]