Brulotti

La lampada nell'orologio

André Breton
 
Dal seno della spaventosa miseria fisica e morale di questo tempo si attende, senza ancora disperare, che energie ribelli ad ogni addomesticamento riprendano, a pie' d'opera, il compito dell'emancipazione dell'uomo.
Sarei l'ultimo a non riconoscere che mai partita – in cui è in gioco tutta la sorte dell'umanità – sia stata ingaggiata in condizioni così ineguali.
È duro, e in certi momenti è, se non scoraggiante, almeno deprimente nel senso fisico della parola, osservare che il gioco della storia si sta facendo con dadi truccati. Su questa tappezzeria, dove la barba di Marx ancora brilla ma che il suo magnifico sguardo circolare non anima più, è, senza dubbio, grande peccato vedere iscriversi e sciuparsi, alla fine dell'ascesa verso un meglio che è loro dovuto, le masse proletarie condotte con gli occhi bendati, da preti rubicondi che non si degnano neppure più di spiegare loro dove passano.
Qui dovrebbe essere la libertà: vi dicono che così è, ma nessuno esce. Comprendete bene: sognavate che l'uomo potesse gioire e testimoniare altamente della vita, dare la misura delle sue capacità, del suo genio: per cominciare passerete da quella stanza piena di mosche metalliche ed altre.
Vedete quel piccolo romantico, pensava che durante la sua vita – scusate se è poco – il modo sarebbe diventato modo: «lasciate ogni speranza, o voi che entrate».
Nulla può annullare questa realtà; e tutto ben pensato io vi dico che il gioco non vale la prossima candela.
Su un tale piano, i paradossi più sapienti, i sofismi più virulenti, non possono non vedere presto la loro fine. Nell'attesa, tutto ciò che si giustifica in profondità umana e in libero dono di sé, non ha detto la sua ultima parola. Tutto riprenderà radice. La turlupinatura generale non avrà durato che un tempo. I grandi problemi saranno posti in termini nuovi e come se fosse per la prima volta. Non avremo più da fremere davanti a visioni di fanciulli sfigurati. La galleria, un poco meglio informata, cesserà di appassionarsi alla promessa di scene rinnovate del circo romano, ma di tutt'altra ampiezza, perché si annunzia che, questa volta, le tribune devono formare tutt'uno con l'arena.
 
La tentazione della fine del mondo
Si obietterà che i poeti sono gente singolare, versatile? Come, i numerosi studi in corso di pubblicazione non stabiliscono che da un secolo essi si sono abbandonati e, attraverso essi, ciò che v'è di più acuto nella sensibilità moderna, alla tentazione della fine del mondo? È vero. E tuttavia, questa fine del mondo, non mi sentirò minimamente imbarazzato a dire oggi che non la vogliamo più.
Non la vogliamo più da quando vediamo i tratti sotto la quale si profila e che, contro tutte le attese, ai nostri occhi la colpiscono di assurdità. Non proviamo che ripugnanza verso questa sincope universale, nella stessa misura in cui la sola alienazione dell'uomo avrà potuto rendersene causa. Una tale fine del mondo, sorta da un passo falso degli uomini, meno scusabile perché più decisivo dei precedenti, è per noi spogliata di ogni valore, deplorabilmente caricaturale. Abbiamo un bell'interrogarci su quanto può covare nei riccioli del professor Einstein o prosperare dietro i capelli a spazzola dello strano compagno Stalin, no: non è veramente di questo supremo quadro di caccia che si trattava.
Questa fine del mondo non è la nostra. Finché sussiste la sua eventualità, non vediamo nessun ostacolo a segnare, a questo proposito, un rovesciamento totale, a procedere deliberatamente ad una inversione di segno. Soltanto il pensiero «razionalista» potrebbe domandarcene conto, ma ci si attende bene che noi passiamo al momento in cui, giustificando largamente le nostre previsioni, quel pensiero si coroni da sé di un non-senso annichilente. La possibilità di questo rovesciamento di segno è d'altra parte governata da un puro fatto sensibile, grazie al quale può essere sormontato il principio di contraddizione. Non ne mancano gli esempi, precisamente in Baudelaire, in Rimbaud, in Lautréamont.  È inutile dire che è tutt'altra cosa il rinnegamento di cui l'attualità mette in chiassosa evidenza qualche esemplare. Io mi limito al grande mistero poetico, a quello che durante il Terrore ha fatto sì che Sade, al prezzo della sua libertà e con grande smarrimento dei suoi esegeti futuri, si pronunciasse contro la pena di morte.
 
L'eredità dell'arte «nera»
Non si tratterebbe perciò di respingere l'eredità dell'arte «nera» e di allontanare con un comodo colpo di mano, come un guanto aderente, la «maledizione» accettata dai più grandi poeti ed artisti di quest'ultimo secolo. Tutto l'ardore disponibile continua, infatti, a venire da essa. È per mezzo suo, per effetto stesso della riprovazione che essa sanziona, che i poeti e gli artisti veri fanno valere la scelta assoluta che è la loro, tra la spogliazione e la lunga non considerazione che li apparenta di colpo agli esseri ed alle categorie umane le più spogliate e le più perseguitate ed i beni che, con una benevola neutralità, i «felici di questo mondo» potrebbero consentire a dividere con loro. Con questi esseri, queste categorie, osserviamo che questo segna da parte loro delle affinità altrimenti profonde e sigilla un'alleanza subordinata alle parole d'ordine del «realismo socialista» di ieri o dell'«antiformalismo» d'oggi. Del resto, tutta la questione sarebbe di sapere se lo spirito può impunemente rinunciare alla maggior parte delle sue funzioni immemoriali – delle quali la complessità ed il gioco variabile da un individuo all'altro fanno tutto il prezzo della vita e della lotta – per mutarsi in semplice strumento di propaganda.
Da questa parte della «cortina di ferro» siamo ancora qualcuno a poter dire no...
 
L'uomo riprenderà il gusto di concepirsi da sé
Niente può fare che la libera scoperta umana che è pre-esistita a Marx e gli è sopravvissuta, non mantenga legato nell'angolo più oscuro del quadro, l'arco che il mito vuole sia stato messo nelle nostre mani da Prometeo o da Lucifero. Tutte le tirannie passate e future non vi cambieranno niente. Noi abbiamo un bell'attraversare un periodo di crassa ignoranza, in cui nella poesia, nell'arte, non dirò anche nella filosofia ma nel modo generale di pensare, non sono più messe a contributo che delle opere immediate, seguenti la moda e logore di commenti. Rimbaud, Picasso, l'empiriocriticismo di Lenin; il ristabilimento dell'uomo si opererà fatalmente sull'ammasso di tutto quello che l'ha fatto. Cesserà di vivere a fianco di colline minate come un'erba vergognosa il cui seme sia stato portato là dal vento. Egli riprenderà il piacere di concepirsi da sé, in quanto essere concepito per un fine determinabile da lui solo e che, per questo fatto, non deve fare doppio impiego con nessun altro.
La vanità è altrove.
 
[Combat, 4 giugno 1948]