Brulotti

I neon delle città illuminano soltanto la nostra collera

 

Alcuni selvaggi
 
Vorrebbero farci credere che la città è il progresso, ma il progresso non distrugge mai così profondamente come quando costruisce. Le città in cui viviamo sono l’immagine della nostre vite civilizzate: noiose, fredde, svuotate di senso, talmente grandi da schiacciarci, talmente prive d’aria da soffocarci. Per riempire il vuoto delle nostre esistenze urbanizzate, abbiamo dato un'identità alle città, per convincerci che sono uniche, che possa esserci una qualche fierezza nel viverci. Ma, in ogni caso, le città si assomigliano tutte. Chi può riuscire a distinguere, da una città all’altra, un supermercato, un centro commerciale, una stazione, un aeroporto o una prigione?
Chi può desiderare di riappropriarsi della città, gestirla o perfino autogestirla, piuttosto che distruggerla?
A cosa servono quelle panchine su cui non riusciamo a stare comodi, a cosa servono quei tetti spioventi sui quali non possiamo ammucchiare pietre per bersagliare la sbirraglia, quelle luci che ci abbagliano per renderci più visibili agli occhi minacciosi delle sempre più numerose telecamere di sorveglianza, quelle pattuglie di sbirri che ci impediscono di stare qui o là, quel filo spinato su cui ci laceriamo le gambe quando saltiamo i muri che ci rinchiudono, quelle strade talmente immense da farci sentire troppo piccoli per bloccarle con barricate, quei pompieri che ovunque cercano di spegnere i nostri fuochi di gioia e di collera, quei mediatori che cercano di orientare la nostra rivolta al servizio di questo mondo senza sapore e quei politici che vedono nella città lo spazio ideale per contenerci, parcheggiarci e anestetizzare la nostra rabbia. Ma l’urbanesimo è solo uno dei meccanismi di questa società di dominio, esso funziona come il sistema giudiziario, il mantenimento dell’ordine pubblico, la caccia agli indesiderabili, il sistema pedagogico e carcerario e tutte le altre istituzioni del potere e dell’autorità. Il suo scopo è costruire città funzionali al controllo esercitato da sbirri e cittadini. Non esiste un urbanesimo emancipatore, ci sono solo città da distruggere con mille fuochi.
La città tende unicamente alla massificazione e alla standardizzazione degli individui, la sua ristrutturazione mira soltanto a prevenire ogni eccesso e ribellione e ad assicurare una pacificazione che garantisca il buon funzionamento sociale dei rapporti di dominio.
Il più angusto angolo di una città risponde solo a due necessità: il controllo sociale ed il profitto.
Perciò, noi non vogliamo riappropriarci, né autogestire le città, che non ci sono mai appartenute, da sempre strumenti del dominio che subiamo, nient'altro che prigioni a cielo aperto, e ne abbiamo abbastanza. La sola cosa che potremmo farne, è trasformarle in terreni di gioco in cui scatenare i nostri desideri insorti.
A chi vorrebbe civilizzarci, rispondiamo con le nostre passioni selvagge e distruttrici, fino alla fine di ogni potere. Non vogliamo né evadere dalla città, né riappropriarcene — vogliamo distruggere, insieme ad essa, il mondo che la produce, intensamente e con gioia... Per l’insurrezione.
 
[manifesto affisso a Parigi, tradotto da qui, aprile 2013]