Brulotti

Germinal!

Rastignac [Vincenzo Morello]
 
Angiolillo, dunque, è un assassino: è convenuto. Ma perché non potrebbe essere anche un martire? Ciò difficilmente vorrà essere ammesso. Se è un assassino, per il colpo di revolver tirato contro Canovas del Castillo, è un martire per il peso della condanna sotto il quale è rimasto soffocato. Gettate fango quanto volete, sul pugno che ha stretto e diretto l’arma omicida! Ma non potete fare a meno di gettare, dopo, una corona di giacinti sulla testa che si è inclinata così dignitosamente nella morte. Questo anarchico, cioè questo distruttore dell’ordine sociale che ha la sua base nella famiglia, questo anarchico, il quale ha chiesto in grazia al carceriere che fosse seppellita con lui l’ultima lettera di sua madre; questo assassino che, forte nella sua coscienza e nel suo ideale, non ha sentito il bisogno, nell’ultim’ora, di raccomandarsi né agli uomini né a Dio, e il cui ultimo respiro si è confuso con una dolce parola di augurio e di speranza per il mondo: — Germinal! Questo anarchico, questo assassino, questo condannato, questo soffocato è della buona stoffa dei martiri e degli eroi, che non disonorano l’umanità.
Germinal! Questa parola non può fiorire, nel momento della morte, che dal cuore di un poeta e dal sogno d’un eroe. Essa racchiude in sé tutta una gentile primavera di sentimenti e di ideali, ed è degna di stare accanto a quelle altre frasi e parole che nella storia del martirologio politico sono circondate di aureola. Questo annunzio di una nuova aurora nella terra e nella società; questa dichiarazione d’amore e di fede nella vita che per lui si sprofonda nelle tenebre; questa feconda glorificazione dell’avvenire nell’attimo stesso in cui il tempo non ha più tregua per lui, prova e rappresenta la natura dell’uomo e la natura dell’idea.
Germinal! È l’idillio, magicamente risvegliato, al disopra e al di là della tragedia individuale; è il sorriso del pensiero sulle prossime torture della carne; è il volo della fantasia sulla nera coorte dei giudici, dei carcerieri e del carnefice; è l’iride dell’anima gloriosamente risplendente sulla tempesta del delitto proprio compiuto e del delitto altrui che sta per compiersi. Ah, questo italiano non ha soltanto un’arma che uccide: ha anche un sogno che vivifica; non ha soltanto una missione di vendetta: ha anche un sentimento d’amore! Questo assassino è anche un martire. E perché v’è tanta gente che lo vilipende come assassino, permettete che qualcuno, che non è della sua scuola o del suo partito, non disconosca la parte nobile e buona della sua persona. Egli ha pagato, con la sua, la vita di Canovas del Castillo: ed è pari col Codice penale. Ma dinanzi alla storia della politica egli si rialza, disdegnosamente. Sull’ombra del delitto passa il lampo di una coscienza. E non di una coscienza volgare.
Ma, a proposito di Angiolillo, ragioniamo, se possibile, su l’inutile persecuzione dei governi contro gli anarchici e l’anarchismo.
Quali effetti tale persecuzione produce se non di sangue e di vendetta? Quale attentato, o quale delitto ha finora impedito? Quale argine ha messo alla propaganda dell’idea od a quella del fatto? È inutile farne la enumerazione; ma la cronaca dei delitti politici degli ultimi cinque anni è là a rispondere, sebbene non ad ammaestrare.
Ora, pensate.
Noi piangiamo, oggi, su Canovas del Castillo; e bene sta. Ma non credete vi sia molta, molta altra gente che pianga sui fucilati di Montjuich, sui torturati e i tanagliati anarchici delle prigioni spagnole? Voi imprecate alla mano omicida di Angiolillo, e chiedete nuove leggi di persecuzione, che significa nuovi mezzi e nuovi sistemi di persecuzione contro i suoi compagni di fede. Ma credete che, come noi, non si sollevi in disdegno, non prorompa in recriminazioni e non invochi rappresaglie il cuore e la fantasia degli anarchici, quando innanzi a loro si danno spettacoli di bestialità, si offrono esempi di carneficina, come quelli che da qualche tempo a questa parte sono stati dati ed offerti in Spagna?
Noi abbiamo lo stesso preciso metodo degli anarchici: siamo unilaterali; non guardiamo che alla nostra idea, non ci preoccupiamo che del nostro interesse, non ci esaltiamo che delle nostre paure. Ci manca, come manca agli anarchici, il criterio di relatività, e quindi ci manca la forza dalla parola e della azione equilibrata. Con questa differenza: che gli anarchici eccitati come sono dalla lotta, col sangue inasprito e ribollente di veleni, da noi iniettati, sono, per la loro speciale condizione di fronte alla società, scusabili almeno come perseguitati; ma non può e non deve essere scusabile una società organizzata, come la nostra, se nell’errore degli anarchici cade e vi insiste, usando, da parta sua, la stesse armi, la stessa tattica, gli stessi mezzi che usano gli avversari, che bestemmia e maledice!
Il delitto cieco, come ammonimento e come intimidazione: ecco il metodo dell’esecuzione anarchica; — ed ecco anche il metodo della persecuzione dei governi contro gli anarchici. Dopo lo scoppio di una bomba che uccide un mucchio di innocenti, che cosa fa il governo? Perquisisce le case degli anarchici; raccoglie dalle case e dalle osterie tutti i compagni che può; e li getta in prigione, o li deporta, o li manda sotto qualunque altra forma a domicilio coatto; e, avutili così in mano, e tenendoli sotto chiave, li bastona e li offende in tutti i modi, esercitando contro di essi tutte le sevizie che la pratica e la giurisprudenza di polizia consigliano ed ispirano. Qualche volta, il colpo è troppo forte, e Frezzi rimane ucciso; qualche altra, la vittima è troppo resistente, e Gano, sebbene lacerato in tutte le carni, sebbene tagliuzzato nelle mani e nelle orecchie, sebbene con le budella fuori del ventre, esce di prigione a fare testimonianza di sangue contro tutte le torture cui egli e i suoi compagni sono stati sottoposti dai carcerieri del Canovas del Castillo!
Qual differenza tra la condotta degli anarchici contro la società, e la condotta di questa contro quelli? — Nessuna. — L’una e gli altri, in luogo di agire per via di giustizia, agiscono per via di vendetta. L’una e gli altri non combattono la grande battaglia, ma s’irritano a vicenda nella rappresaglia del delitto. L’una e gli altri sono dominati dall’istinto, non dal pensiero: belva contro belve. Ma non c’è nessuna ragione al mondo per cui si debba lodare o incoraggiare la società nella sua espressione di governo, per le stesse cose per le quali si vilipendono e si perseguitano gli anarchici; cioè per gli stessi errori e per gli stessi crimini. Il codice penale non può avere una nomenclatura diversa, a riguardo dei principii politici e degli interessi di casta.
 
Il grave torto dei governi d’Europa è questo: di trattare l’anarchismo come il brigantaggio; e come questo tentare di estirparlo. — Vi è gente che uccide, per ragione di scuola? Dunque, discreditiamo la scuola, e diciamo ch’essa è una palestra di assassinio; e intanto noi che siamo i creatori del diritto e la guardie della legge, nel nome dell’uno e dell’altra, imitiamo quella scuola. Noi siamo in più, perché siamo la maggioranza; non ci sarà quindi difficile in una lotta simile di avere il sopravvento. Lo avemmo nei boschi, contro i briganti; perché non potremmo averlo nelle vie della città e nelle osterie dei suburbi? — E con questi criteri, con queste tendenze, con questo metodo, si va innanzi — cioè, veramente, indietro — immaginando leghe di resistenza internazionale, fantasticando nuove forme di persecuzione e nuove pene, e contemporaneamente esponendosi al ridicolo, perché l’attentato anarchico ha finora questa prevalenza sull’attentato sociale: lo precede; e, precedendolo lo annulla.
Ma, sarà lecito dire un po’ a noi stessi la verità?
Se sì, io mi permetto di affermare che l’unica forma eroica della scienza e della vita moderna è l’anarchismo; che dall’anarchismo derivano i libri più geniali e gli uomini più coraggiosi; che nell’anarchismo è in gestazione e forse maturerà la nova gente, dominatrice della vita sociale. E non ho nessuna intenzione, dicendo questo, di far un paradosso.
I briganti! gli assassini! i malfattori! — Sì; ma questi briganti non rubano; ma questi assassini sanno di perire nel momento stesso del loro delitto; ma questi malfattori sono degli idealisti. Questi briganti, questi assassini, questi malfattori, nel darla, vanno incontro alla morte: e più che alla morte al supplizio rapido delle folle.
Ognuno di questi uccide, perché s’illude che il suo reato possa portar frutto di bene ai suoi simili. Nessuno di questi è egoista: nessuno di questi tenta di arrivare per il reato alla ricchezza, agli onori, al governo. Sono tutti: altruisti, che, pur sacrificando un altr’uomo, sacrificano se stessi, com’essi credono, al genere umano. E coloro che coprono di fiori il pugnale di Bruto; coloro che levano incensi alla ghigliottina della Convenzione; coloro che legano una bandiera alla baionetta di Agesilao Milano; non si accorgono quanto sono illogici e unilaterali, per non dire ingiusti, quando vogliono coprire di fango il pugnale che tagliò il cuore di Carnot, che pur non era Cesare, e l’arma che spezzò il cervello di Canovas del Castillo, che, quantunque difensore del trono e dell’altare, pure non aveva il fascino e l’orgoglio delle tradizioni di Luigi XVI e di Ferdinando II di Borbone. Io non giustifico nessun delitto: solo mi duole di non aver qui il mio Cicerone, per citare quella pagina meravigliosa (della II o della III filippica, non ricordo bene) in cui è delineata e precisata in eterno la teoria della legittimità del delitto politico. Io fo, semplicemente, della logica; e non è mia colpa se la logica non mi fa odiare, né vilipendere, né condannare, neppure col più irresponsabile degli aggettivi, l’anarchismo e i suoi militi.
Questo anarchismo, del resto, ha i suoi filosofi, i suoi poeti, i suoi giornalisti, i suoi critici, come ha i suoi eroi; e tutta un’onda fresca e sonante di idee e di fantasmi è nell’opera di costoro, che valgono certamente di più e meglio dei cinesi del socialismo e dei bizantini del conservatorismo, e in tutto quello che pensano e scrivono hanno una tal forza socratica di ragionamento ed una tal viva originalità di ispirazione, che spesso meraviglia e più spesso commuove.
Ed è veramente molto strana, e denota la grande ignoranza nella politica internazionale, che contro l’anarchia e i suoi uomini non si ripetano continuamente che le solite volgarità e le solite frasi fatte contro tutte le audacie disinteressate e tutte le abnegazioni individuali incondizionate: ed è più strano ancora che, per far mostra di comprendere i tempi e di non essere ostili alle scientifiche deduzioni, contro l’anarchia si chiami in aiuto, titillandolo un poco dietro le orecchie, il socialismo evoluzionista, o l’evoluzione socialista.
Ah, quello lì è un altro affare! Ah, quella lì è un’altra cosa! Ah, col socialismo si può discutere; con l’evoluzione si può trattare! Ah, ah, autre chose!
E così esclamando si crede nei giornali e nei parlamenti di salvare le capre del presente e i cavoli dell’avvenire; di dare alla politica una certa vernice di scienza sociale; e a questa una certa tinta parlamentare, che la renda opportuna alle varie fasi della eloquenza o ministeriale, o di opposizione. E dopo ciò, è inutile dire che l’umanità è salva — allo stesso modo che l’anarchismo è stato distrutto.
 
Ma, dunque, bisogna lasciar libero il passo al delitto, lasciar libero il lavoro ai sovvertitori della società?
No, amici o avversari carissimi; ma bisogna trovare i mezzi atti a impedire quel passo, e il trionfo di quel lavoro. E fino ad oggi non si sono trovati e non si troveranno. Perché?
Ecco il perché:
L’anarchismo non è una causa, ma una conseguenza; non è una proposizione, ma una illazione, non è malgrado i suoi metodi e i suoi delitti, la espressione di una follia politica, ma l’affermazione di una condizione di cose che è destinata a mutare.
Data una società come la nostra, una società cariata in tutto il suo scheletro, affetta in tutti i suoi umori di una discrasia ormai invincibile; l’anarchismo, cioè lo spirito che nega, è una necessità ineluttabile.
L’anarchismo è oggi per la nostra società, quello ch’era la filosofia di Rousseau per la società francese del secolo passato.
In quel mondo chiuso di privilegi, di pregiudizi, di crudeltà, Rousseau si precipitò come un salvatore in una camera in cui stia per morire asfissiata una persona amata; e aprì tutte le finestre, e mostrò oltre quelle leggi e quei regolamenti di corte, oltre quella miseria di vanità e di etichetta, i liberi campi e i cieli infiniti, le glorie della vita universale e le speranze dell’avvenire immortale e così trasse la Francia, e con la Francia l’Europa, dal vecchio ospedale della monarchia, nella natura a respirare, a pensare ad amare a combattere, a vivere.
Che importa che il Contratto sociale sia rimasto nel libro?
Ma lo spirito di quel contratto, e di tutte le altre opere concordanti, ha rinnovato per un secolo la società umana.
E così è dell’anarchismo. Nessuna delle sue proposte, nessuna delle parti del suo programma sarà attuata; ma lo spirito trionferà.
L’anarchismo sarà un fuoco fatuo ma che sorge dalla putrefazione della nostra società.
E intanto contiene: contro il vile predominio delle maggioranze elettorali e parlamentari l’affermazione della coscienza individuale: — contro l’inerzia morale delle classi così dette dominatrici, l’affermazione delle volontà rinnovatrici; contro l’incoerenza del pensiero e dell’azione, l’affermazione logica dell’uno e dell’altra.
«La volontà: ecco in che risiede il segreto di questa libertà interiore che egli deve acquistare; la volontà, la più alta delle funzioni umane; l’integrale volontà, dominio dell’evoluzione futura tale e quale noi anarchici d’oggi possiamo presentirla; la volontà, grazie a cui l’uomo sarà infine un dio...».
È un poeta anarchico che parla, Adolfo Ratté! E in questa sintetica dichiarazione v’è tutto il temperamento del suo partito.
Ora, come potete voi credere di distruggere un partito simile, che deriva dalle condizioni stesse della società che difendete, con una leggina di pubblica sicurezza, con una lega di resistenza internazionale di polizia?
Altro ci vuole ! In tutti i tempi e in tutti i luoghi le leggi di polizia non hanno risoluta nessuna questione, e invece le hanno acuite; e le crudeltà non hanno mai scoraggiato o discreditato, ma hanno invece santificato i partiti di opposizione ai reggimenti attuali.
Che fare dunque?
Che fare?
Aspettare che venga l’uomo, che venga l’eroe, che rimescoli tutte le forze sociali; che rivoluzioni le anime, secondo l’energica espressione di Ibsen nella famosa lettera a Brandes; che sconvolga le gerarchie; che comprima e dia nuovo indirizzo alle energie sociali. I governi del quarto d’ora, i parlamenti, le prefetture, le questure, fanno ridere quando si vedono in massa andare alla caccia dell’anarchismo: e faranno ridere ancora per un pezzo.
Così il Rodano, uscendo azzurro e sonante dal Lemano, ride nel vedere l’Arve, che vorrebbe dargli il suo letto e il bianco sporco delle sue acque: e segue liberamente e disdegnosamente il suo corso.
 
[Ginevra, Agosto 1896]