Brulotti

Semplici galleggianti carichi di materiale esplosivo lanciati alla deriva nel tentativo di incendiare le navi nemiche, in senso figurato i brulotti sono piccole idee suscettibili di provocare danni nei luoghi comuni che rendono triste ed opaca la nostra esistenza. Ogni pretesto è buono per simili tentativi: la riflessione su un fatto del giorno, l'intervento in una lotta, l'annuncio di una iniziativa, la riproposizione di testi dimenticati...

Il primo e l'ultimo

Brulotti

Il primo e l'ultimo

Carlo Michelstaedter

Non sei né il primo né l'ultimo a questo mondo – se vuoi vivere devi adattarti a godere di quello che trovi, che d'altronde non potresti cambiare – dice la folla.
Ma devo vivere così perché? per aspettarmi che cosa? per conservarmi a che cosa per cui io debba rinunciare a quello che voglio, sacrificare quello che per me sarebbe la vita?
No, il mondo è il mio mondo e nel mio mondo sono io il primo e l'ultimo – non trovo niente di fatto prima di me, non mi posso affidare che niente venga fatto dopo di me – ma devo prender su di me la responsabilità della mia vita come la devo vivere, che su altri non può ricadere; aver io stesso in me la sicurezza della mia vita che altri non mi può dare – creare io il mondo come io lo voglio, che prima di me non esiste: devo esser padrone e non schiavo nella mia casa. Aver fatto non mi giova ma fare, in qual modo lo faccio – poiché non c'è premio dagli altri, che non sono per me, né dalla cosa fatta che come è fatta così non è, ma per giungere a fare tutto in un punto: in questo vivendo in tutte le cose tutto me stesso, poiché io sono il primo e sono anche l'ultimo.

Sincerità

Brulotti

Sincerità

«Devono essere impazziti» — avranno pensato i fiorentini in questi ultimi giorni. In pieno centro, accanto al Duomo, in piazza della Repubblica, lungo piazza della Signoria, a San Lorenzo, a Sant'Ambrogio, Oltrarno, a Santa Croce... chi si è ritrovato a camminare per Firenze non ha potuto fare a meno di notarlo. Faceva capolino persino lungo i viali, alle fermate dei bus. Si tratta di un manifesto firmato dal presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, e dal sindaco di Firenze, Matteo Renzi, col concorso della Protezione Civile, in cui si ribadisce la necessità dell'Alta Velocità ferroviaria, la bellezza del Progresso, l'ineluttabilità dei sacrifici ambientali ed umani richiesti, e si invita la popolazione a non impedire l'imminente sventramento della città assicurato dalla costruzione della nuova stazione ferroviaria sotterranea.
A leggerlo c'è da rimanere sbigottiti. Mai gli amministratori pubblici si sono rivolti con così aperta sincerità ai loro elettori. Ad ogni modo si deve essere trattato di un rigurgito momentaneo di franchezza, qualità notoriamente incompatibile con il mestiere di politico, tant'è che si è aperta la caccia istituzionale ai manifesti che man mano vengono rintracciati e (ma ancora non tutti) rimossi.
Peccato, perché facevano bella figura. A loro imperitura memoria, abbiamo pensato bene di immortalarli.

Vino più forte, musica più folle

Brulotti

Vino più forte, musica più folle

Apio Ludd

un manifesto

 

1

 

Perché diavolo dovrei scrivere un manifesto?
Di certo non abbiamo bisogno di ulteriori dogmi fanatici che inseguono fischiando catechismi giù per i vicoli ciechi di qualche "ismo".
Quindi cosa potrebbe avermi spinto a sguinzagliare questa raffica di parole?

 

2

 

Voglio essere chiaro fin dall'inizio. Non sto parlando per conto di nessun "ismo", causa, partito o movimento.
Di certo non sto parlando per conto del movimento anarchico, perché:
Sono un anarchico e quindi mai parlerei per qualcuno al di fuori di me stesso;
Se vedessi un qualche movimento anarchico per cui valesse la pena parlare, non sprecherei il mio tempo in chiacchiere, mi unirei alle danze!
Sono un outsider in questo mondo e, quindi, anche in un "movimento" anarchico che sembra sfidare questo mondo sempre di meno ed imitarlo sempre di più.

No copyright

Brulotti

No copyright

Ciò che è di questo mondo ha un prezzo. Nulla sembra sottrarsi a questa legge imperativa. Qualunque cosa desideriamo, la dobbiamo pagare. Il copyright, la «riserva del diritto d'autore sulla riproduzione di un'opera» (libro, disco, programma che sia), è un chiaro esempio di come sia il denaro a scandire la nostra vita, a regolarla e ad orientarla.
Quando andiamo in libreria e acquistiamo un libro, sborsando una somma più o meno elevata, ne usciamo solitamente soddisfatti di poter godere un bene che riteniamo di aver liberamente scelto. Ma non è proprio così. La nostra scelta dipende dalle nostre possibilità economiche, dalla selezione di libri che qualcuno ha messo "a nostra disposizione"; qualcuno che a sua volta ha dovuto scegliere fra i libri clae un altro ancora ha scelto per lui. Dunque il lettore è condizionato dalle scelte del libraio, che è condizionato dalle scelte del distributore, che è condizionato dalle scelte dell'editore.
Il risultato di questo iter non ha nulla a che vedere con il nostro "sapere e la nostra "cultura", ma solo col conto in banca dei tanti bottegai. In tutto ciò il copyright svolge un ruolo importante, determinando le scelte di un editore, il prezzo di un libro, la sua stessa presenza in libreria, fino alla nostra possibilità di acquisto. Serve cioè ad arricchire chi sfrutta un nostro desiderio: leggere un libro, ascoltare un disco o quant'altro. Come ogni proprietà, esso è un furto.

Il nostro complotto

Brulotti

Il nostro complotto

Zo d'Axa

La Borsa, il Palazzo di Giustizia e la Camera dei deputati sono edifici di cui molto si è dibattuto in questi giorni: queste tre case pubbliche sono state minacciate in particolare da tre giovani che per fortuna sono stati arrestati in tempo.
È impossibile nascondere alcunché ai signori giornalisti, i quali hanno svelato la triplice cospirazione ed i loro confratelli della prefettura hanno immediatamente fermato i cospiratori.
Ancora una volta gli uomini della stampa e della polizia hanno meritato il plauso di quella parte di popolazione che non riesce ad apprezzare il pittoresco fascino dei palazzi in rovina e la singolare bellezza dei crolli.
Il pubblico non lesinerà le azioni di grazia a tutte le oche dei suoi campidogli.
I servigi resi verranno riconosciuti anche in moneta sonante. Bisogna incoraggiare le virtù civiche. I fondi segreti balleranno e il dono sarà portato dai salvatori della società.
Tanto meglio! Considerato com'è edificante constatare che, se fra i nostri nemici vi è un esiguo numero di sfruttatori astuti, la maggior parte è composta da imbecilli che spostano i limiti dell’ingenuità indietro fino all’orizzonte.
Come hanno potuto credere, quei disgraziati, che gli anarchici pensassero di far saltare il parlamento proprio in questo momento?
Mentre i deputati sono in vacanza!
Bisogna essere proprio a terra per supporre che i rivoluzionari possano scegliere un momento simile.
Non foss'altro che per cortesia, si aspetterebbe il rientro.

Uccidere

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Uccidere

Uccidere è privare qualcuno della propria vita, l’estrema offesa che un essere umano può imporre a uno o a più altri esseri umani.
Posta in questi termini l’uccisione di qualcuno uguale a noi – tutti gli uomini sono uguali – sembrerebbe un fatto raro, e invece non lo è. Non tanto perché la maggior parte di questi omicidi resta sconosciuta, ma perché sono tante le ragioni che rendono normale la morte imposta a qualcuno.
I Paesi cosiddetti civili hanno abolito la pena di morte (non tutti) ma non si preoccupano più di tanto delle morti sul lavoro, degli incidenti stradali, degli omicidi organizzati dalle strutture di potere parallele (mafie, servizi segreti, polizie, ecc.) e non si preoccupano per nulla degli inquinamenti che causano migliaia di morti, basta pensare al modo in cui fino all’ultimo è stato giustificato e pubblicizzato l’uso dell’amianto per farsene un’idea.

Nessuna democrazia

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Nessuna democrazia

Indubbiamente oggi non esistono modalità di pensare ed agire in senso diretto ed orizzontale tra gli individui, né relazioni umane che si possano definire libere, dato il peso soffocante della statualità che modella tutti i rapporti societari. Il rapportarsi mediato delle persone passa per istituti di controllo che riducono la vita sociale entro il recinto della Norma, dell'obbligatorietà e di procedure lineari da seguire,dove l'atto del delegare è diventato l'unica funzione da assolvere, se si vuole continuare ad esistere.

Il continuo viversi per interposta persona o per procura dà misura del dominio indiscusso raggiunto dalla democrazia, che materializza il reale controllo dello Stato sulla Società. Nello spettacolo attraente dei suoi ruoli intercambiabili ed auto imposti sembra far sì che tutte le ideologie coesistano in una sorta di mutua collaborazione, dove l'inganno invita i suoi attori/spettatori a consumare in un miserabile gioco obbligato tutte le illusioni che la vita quotidiana da routine produce.

Perché ho rubato

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Perché ho rubato

Alexandre Marius Jacob

Signori,
Adesso sapete chi sono: un ribelle che vive del ricavato dei suoi furti. Di più. Ho incendiato diversi alberghi e difeso la mia libertà contro l’aggressione degli agenti del potere. Ho messo a nudo tutta la mia esistenza di lotta e la sottometto come un problema alle vostre intelligenze. Non riconoscendo a nessuno il diritto di giudicarmi, non imploro né perdono né indulgenza. Non sollecito ciò che odio e che disprezzo. Siete i più forti, disponete di me come meglio credete. Inviatemi al penitenziario o al patibolo, poco m’importa. Ma prima di separarci, lasciatemi dire un’ultima parola...
Avete chiamato un uomo: ladro e bandito, applicate contro di lui i rigori della legge e vi domandate se poteva essere differentemente. Avete mai visto un ricco farsi rapinatore? Non ne ho mai conosciuti. Io, che non sono né ricco né proprietario, non avevo che queste braccia e un cervello per assicurare la mia conservazione, per cui ho dovuto comportarmi diversamente. La società non mi accordava che tre mezzi di esistenza: il lavoro, la mendicità e il furto.

L'individuo in rivolta

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L'individuo in rivolta

Nella netta divisione degli uomini in due campi distinti – quello degli sfruttati e quello degli sfruttatori – non si è voluto vedere che masse, che una differente valutazione del contributo degli uni e degli altri, tenendo specialmente conto del maggior rendimento dei primi e del minor godimento della vita di fronte alla massima gioia degli ultimi senza alcuno sforzo di produzione. E si è stabilito per le masse che ascendono verso una vita più naturale, più libera, più larga di gioie la tendenza rivoluzionaria, mentre è ineluttabile nei privilegiati, che della vita godono ogni bene, l'istinto di conservazione naturalissimo in chi, avendo conquistato un posto comodo nell'esistenza, ha massimo interesse a costringere nell'inamovibilità del presente tutto quanto il genere umano.
Mentre in fondo la divisione è, e dev'essere, molto più radicale: tra l'individuo che vuol camminare e l'insieme – sia pure la società nostra – che lo deprime, lo opprime, lo coercizza entro lamiere di tradizioni, di morale, di doveri, lasciando al diritto la speranza di affacciarsi in un avvenire più o meno lontano.

Senza certezze

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Senza certezze

La morte di una ragazza nel corso di un gioco erotico ha fatto emergere con prepotenza tutti i peggiori aspetti di questa piccola Italietta, impregnata fin nel midollo dei suoi valori piccolo borghesi.

Il moralismo che contraddistingue i benpensanti è venuto fuori nella condanna più ferma, e nello sdegno, verso pratiche erotiche considerate indecenti da chi ha un universo mentale così ristretto da non riuscire a comprendere che nulla può essere indecente, nella sessualità, quando fatto nella reciprocità e tra persone consenzienti.

Il finto moralismo ha fatto il paio col primo, nei discorsi bacchettoni e puritani di coloro che condannano pubblicamente certe pratiche, salvo fantasticare nei loro sogni proibiti quanto non osano sperimentare nella routine della vita coniugale, non volendo correre il rischio di passare per anormali. Di fondo infatti c’è solo questo: l’adattamento ad una normalità stabilita dalla pubblica morale, verso cui tutti dovremmo avere il compito di ubbidire.

Stato e Rivoluzione

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Stato e Rivoluzione

Arthur Arnould

Ecco un titolo celebre: Stato e Rivoluzione. Tutti sanno che “appartiene” a Lenin, il quale l'ha dato ad uno dei suoi libri più importanti, quello in cui espone la teoria del marxismo nel rapporto con lo Stato. Lenin scrisse quel libro nel 1917, basandosi sulle tesi di Marx ed Engels per esprimere la volontà marxista di spezzare la macchina statale allo scopo di provocarne il deperimento. Il modello proclamato è quello della Comune di Parigi. La Comune è un modello tanto più perfetto in quanto è ridotta al silenzio, ovvero all'idea che ciascuno se ne fa. La si racconta, la si interpreta, la si prende a riferimento, è diventata storia e mito; ma qual è il suo pensiero diretto e vivo (perlomeno il pensiero diretto e vivo di buona parte della Comune, quella libertaria)? Non v'è dubbio che sia ignorato. La prova: un comunardo lo ha raccolto in un libro dalla scrittura accessibile a tutti, e questo libro è sconosciuto. Cosa singolare, ecco il suo titolo: Stato e Rivoluzione.
Questo Stato e Rivoluzione è stato scritto da Arthur Arnould ed è apparso nel 1877, ossia quarant'anni prima del libro di Lenin. Questo Stato e Rivoluzione è antistatale, e lo è a partire da una esperienza reale. Questo Stato e Rivoluzione sostiene la libera unione di collettività autonome e federate contro ogni centralismo autoritario.

Viva il lavoro

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Viva il lavoro

Vico Covi

Per carità non sono io ad inneggiare al lavoro — mi piace tanto poco che più volentieri inneggerei all'ozio.
L'hanno sublimato in tutte le salse i moderni deboli, compresi — s'intende — i redentori di popoli che se ne son fatto grido di battaglia.
Se voi sentite un borghese, un prete, un radicale, un socialista e perfino — strano e ridicolo a dirlo — qualche anarchico dei sommi, v'intronano le orecchie colla tediosa nenia, ed in ogni loro comizio, in ogni loro discorso non tralasciano occasione per fare eco stupida al vecchio Jehova, che col biblico detto sentenziò contro il primo peccato e la prima eresia: «Tu, donna, partorirai con gran dolore; tu, uomo, lavorerai con gran sudore».
Ma lasciamo il barbuto abitatore delle nuvole alle sue faccende; io capisco benissimo che il lavoro è una necessità; ma è poi ragionato che proprio le necessità debbano essere esaltate? Alla malora tutti i poeti delle necessità, perdio!...

Contro ogni autorità...

Brulotti

Contro ogni autorità... Fuoco a volontà!

Nessun tempo per vivere, nessuna energia dopo ore di lavoro tranne che per accendere la TV, lamentarsi in compagnia di qualche bicchiere di pessimo alcool, di un antidepressivo o del metadone, un abbozzo di preghiera e a letto. Sette ore di sonno agitato prima di ricominciare la stessa giornata di merda, giorno dopo giorno, tutto per qualche spicciolo che passerà dal portamonete del padrone a quello del proprietario, da un qualsiasi commerciante alle casse dello Stato. Facile cadere in depressione, facile lasciarsi andare, accettare il proprio destino e dirsi che niente vale la pena, abbandonare ogni speranza d'altro, senza curarsi, di fronte alla propria miseria, della sorte altrui. Vada come vada, a ciascuno la sua merda. Al di fuori della mia famiglia, della mia comunità, del mio gruppo, nessuna empatia, nessuna solidarietà. Al punto in cui siamo, finché c'è qualche soldo e si riesce a raggranellare qualche briciola (con prestiti, piccoli traffici, sussidi sociali...) perché pensare al resto? Possiamo persino crearci l'illusione che la vita non sia così sinistra rifugiandoci in quel po' di soddisfazione e di confort che la società è ben disposta a concederci in cambio della pace sociale.

La massa... anarchica

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La massa... anarchica

Harry Goni (Enrico Arrigoni)

Ogni vittoria duratura è il risultato di uno sforzo continuato, di una convinzione profonda nella bontà e necessità della meta da raggiungere, di una persistenza e volontà inalterabili di fronte alle difficoltà e magari agli insuccessi che ogni opera da realizzare porta con sé.
Ma perché il trionfo non accompagna immediatamente l’azione, si deve per questo rinunciare a perseguire il nostro scopo? Giammai! Se siamo convinti della bontà d’una cosa, più difficoltà incontreremo che si frapporranno alla sua realizzazione e più energia, più ostinazione dobbiamo usare per farla trionfare. Le opposizioni, le difficoltà non possono servire che da stimolo alla nostra volontà di realizzazione. Coloro che perdono rapidamente la fiducia, che si scoraggiano alle prime opposizioni, non possiedono tempra da lottatore, non porteranno a compimento alcuna opera.

Orientamento

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Orientamento

“Le cose più belle son quelle che prendono fuoco”, recita una canzone di un gruppo alla moda.
Ed è quello che abbiamo pensato quando abbiamo visto le immagini della rivolta di alcuni immigrati, a Bari, stanchi di vivere una vita sospesa.
Fuggiti dalla guerra o dalla miseria o in cerca di fortuna, hanno trovato davanti a loro violenza e ingiustizia.
L’emigrazione, i viaggi durante i quali si rischia la morte, “l’accoglienza” fatta di filo spinato, nel Paese di approdo.

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