Per non chiedere

Brulotti

Per non chiedere

Carlo Michelstaedter
 
Non dare agli uomini appoggio alla loro paura della morte, ma toglier loro questa paura; non dar loro la vita illusoria e i mezzi a che sempre ancora la chiedano, ma dar loro la vita ora, qui, tutta, perché non chiedano: questa è l'attività che toglie la violenza dalle radici.
— «Questo è l'impossibile».
Già: l'impossibile! poiché il possibile è ciò che è dato, il possibile sono i bisogni, le necessità del continuare, quello che è della limitata potenza volta al continuare, quello che è della paura della morte, — quello che è la morte nella vita, la nebbia indifferente delle cose che sono e non sono: il coraggio dell'impossibile è la luce che rompe la nebbia, davanti a cui cadono i terrori della morte e il presente divien vita. Che v'importa di vivere se rinunciate alla vita in ogni presente per la cura del possibile. Se siete nel mondo e non siete nel mondo, — prendete le cose e non le avete, mangiate e non siete affamati, dormite e siete stanchi, amate e vi fate violenza, se siete voi e non siete voi. —

Stato

Brulotti

Stato

Come tante altre, la concezione dello stato ha origine nella tendenziosa associazione di due parole. Si è voluto confondere stato (maniera d'essere) e stato (potere centrale), e quest'ultimo termine poco per volta ha acquistato il carattere ineluttabile di una necessità naturale di cui in origine era sprovvisto. Così lo stato, governo, è divenuto stato di fatto e lo stato civile, stato d'animo. Ora, se la lunghissima esperienza che gli uomini hanno dello stato (amministrazione) li riduce ad uno stato (situazione) sempre meno sopportabile, è significativo constatare per contro che i rari esempi di non-stato (assenza di governo) coincidono con uno stato (disposizione) di totale allegrezza negli individui. La tundra desolata in cui risuona il riso degli Eschimesi ne fornisce un impressionante esempio. È chiaro che il non-stato è il solo stato che si possa oramai tollerare.

Elogio dell’incendio

Brulotti

Elogio dell’incendio

Anne Archet
 
Gli incendi — siano essi intenzionali o causati da fulmini — fanno parte da millenni di parecchi ecosistemi. Sappiamo che prima della colonizzazione europea, gli incendi controllati venivano usati da diversi popoli autoctoni per modificare in modo favorevole il proprio habitat. Tra i molti vantaggi, hanno contribuito a facilitare gli spostamenti eliminando i grossi arbusti, ad aumentare la fauna selvatica, a rendere più produttivi gli alberi da frutta e da noci. 
Era una tattica di sussistenza perfezionata nel corso di generazioni.
Al colonizzatore giunto dall'Europa densa e sedentaria, gran parte di ciò che chiamiamo Nord America appariva come una natura selvaggia ed incontaminata, con grandi distese di terre vergini o appena toccate. In realtà l'intero continente era, in un certo senso, un vasto complesso di culture composto da un numero incredibile di habitat variegati sostenuti da pratiche diverse, fra cui il fuoco controllato che, su vasta scala, ha contribuito anche a stabilire e a mantenere i confini tra le praterie e le foreste.

Small is beautiful?

Brulotti

Small is beautiful?

«Ho studiato il fenomeno della dedizione, spesso cieca, dei tecnici per il proprio compito.
Considerando la tecnologia moralmente neutra, costoro erano privi del minimo scrupolo
nello svolgere le loro attività. Più tecnico era il mondo che ci imponeva la guerra, 
più pericolosa era l'indifferenza dei tecnici davanti alle conseguenze delle loro attività anonime».

Albert Speer, architetto membro del partito nazista 
e Ministro per gli armamenti e la produzione bellica dal 1942 al 1945

 
Nel 1959, un fisico che aveva partecipato al programma di ricerca che ha portato alla costruzione della bomba atomica, fece una curiosa presentazione in una università californiana. Concluse pronunciando parole che volevano essere profetiche, come si addice ai grandi visionari della scienza: «C'è molto spazio in fondo alla scala». Per decenni la sua profezia generò più speculazioni che accurate ricerche. Fino al giorno in cui i primi laboratori di ricerca cominciarono, negli anni 80, a dedicarsi allo studio dell'«infinitamente piccolo».

« Enfer ou utopie ? »

Ostrogoto [fr]

« Enfer ou utopie ? »

C’est l’un des nombreux tags apparus près du commissariat du troisième district de Minneapolis, celui qui est parti en fumée la nuit du 28 au 29 mai au cours de la révolte suite à l’assassinat de George Floyd. Ce n’est pas un slogan, ni un appel, et pas non plus un cri de bataille. Pour fomenter et exciter les esprits, le bras armé de l’autorité et sa brutale arrogance y avait déjà pourvu – et le fait encore quotidiennement. Non, cette phrase tracée sur un mur soulève une question. Elle n’adresse pas une demande à l’ennemi (comme l’ironique « vous nous entendez, maintenant ? »), mais pose une interrogation à ceux qui sont descendus dans la rue sur laquelle réfléchir : to hell, or utopia ?

Traditori della razza

Brulotti

Traditori della razza

Race Traitor
 
Nata nello spirito di John Brown, la rivista Race Traitor (1993-2005) fu fondata da Noel Ignatiev e John Garvey per dar voce al Movimento del Nuovo Abolizionismo. Il suo obiettivo era quello di abolire la razza bianca bloccando le istituzioni e le pratiche che la riproducono (ad esempio, il sistema di giustizia penale, il sistema educativo, il mercato del lavoro). A tale scopo, Race Traitor esortava le persone nominalmente classificate come bianche a sfidare le «regole bianche» in modo così vigoroso da mettere a repentaglio i propri privilegi, diventando «traditori della razza» in grado di dare vita a nuovi rapporti. Sebbene nata su iniziativa di professori universitari legati all'estrema sinistra, Race Traitor non fu mai indulgente né col gergo accademico né con la retorica attivista-militante. 
Il testo che segue, apparso alcuni anni fa su Machete, era stato ricavato da ampi stralci degli articoli: Abolish the white race – By any means necessary (n. 1, inverno 1993), When does the unreasonable act make sense? (n. 3, primavera 1994), Anti-fascism, “anti-racism” and abolition (n. 3, primavera 1994).

«Inferno o utopia?»

Intempestivi

«Inferno o utopia?»

 

È una delle tante scritte comparse nei pressi del commissariato del terzo distretto di Minneapolis, quello andato in fumo nella notte fra il 28 e il 29 maggio nel corso della rivolta provocata dall’omicidio di George Floyd. Non è uno slogan, né un appello, e neppure un grido di battaglia. A fomentare ed eccitare gli animi ci aveva già pensato — ci pensa quotidianamente — il braccio armato dell'autorità, con la sua brutale arroganza. No, quella scritta vergata solleva una questione. Non rivolge una domanda al nemico (come il sarcastico «ci ascoltate adesso?»), pone a chi è sceso in strada un interrogativo su cui riflettere: to hell, or utopia? Qual è il senso di tanta rabbia e tanto furore? Cosa si vuole ottenere? Andare all’inferno, quello della riproduzione sociale, oppure dare vita all’utopia, a qualcosa che sia tutt’altro rispetto a leggi a cui obbedire, merci da acquistare, ruoli cui sottostare, denaro da accumulare, governi da eleggere e a cui delegare?

«Negazionista sarà lei!»

Brulotti

«Negazionista sarà lei!»

 

Forse è il destino di ogni concetto quello di nascere con un significato preciso, crescere poco alla volta di dimensione estendendo la propria ombra, fino ad invecchiare diventando fiacco, confuso, traballante, e magari pure rinsecchito. Come un impero che, a furia di espandersi per imporre la propria potenza, finisce per indebolirsi. Prendiamo ad esempio il concetto di negazionismo, il cui significato potrebbe essere quanto mai chiaro. Per definizione con questo termine si indica una corrente del revisionismo la quale, attraverso l'uso di uno scetticismo storiografico portato all'estremo, non si limita a reinterpretare determinati fenomeni della storia contemporanea connessi al fascismo e al nazismo, ma in alcuni casi si spinge fino a negarne la stessa esistenza (per esempio, dell'uso delle camere a gas nei campi di sterminio nazisti).
Ora, va da sé che per la stragrande maggioranza delle persone il termine negazionismo emana un tale tanfo di carogna che può essere apprezzato solo per malafede o per ignoranza.

Tecnologia, incubi e poesia

Brulotti

Tecnologia, incubi e poesia

 
Scienza e tecnologia, due tentacoli che misurano il mondo. Difficile scappare dai loro ragionamenti, dalla loro neolingua, dalla loro configurazione della vita sulla terra. Esse non sono nate per caso. La loro mannaia sulle esistenze – fra becero scientismo, progresso tecnico e regresso emozionale – fissa ciò che ci circonda in due momenti ben precisi, l’uno inscindibile dall’altro: la nascita del mercato e il passaggio in cui lo Stato diviene l’unica organizzazione sociale esistente. 
Senza l’avanzamento tecnico, il commercio della coltivazione delle terre non avrebbe fatto balzi da gigante nella storia dello sfruttamento terreste. Senza tecnologia, le prime macchine industriali non avrebbero trasformato la produzione nell’unico modo concesso di esistere – egemonizzando lo spazio e devastando il tempo – con la conseguenza della creazione di enormi agglomerati urbani sostenuti da una miriade di infrastrutture come ferrovie, miniere e gallerie. Dalla campagna alla città, la parola d’ordine rimane sfruttare il più possibile, per permettere a pochi cialtroni di mantenere i propri privilegi e ad altri in ascesa di acquisirne di nuovi.

Un respiro profondo

Fuoriporta

Un respiro profondo

«Non andartene docile in quella buona notte
Infuriati, infuriati contro il morire della luce»
Dylan Thomas
 
 
No, questa volta no. L'ennesimo omicidio di un nero da parte della polizia, avvenuto lo scorso lunedì 25 maggio a Minneapolis (Minnesota), nel «paese più libero del mondo», non passerà inosservato, non finirà anch'esso a fare numero in qualche statistica. Schiacciato sotto il peso di tre poliziotti, uno dei quali col ginocchio premuto sul suo collo, George Floyd ha inutilmente invocato pietà. Le sue ultime parole sono state: «non riesco a respirare, non riesco a respirare, per favore, signore, per favore, per favore, per favore, non riesco a respirare». Ma ai signori che compongono il braccio armato dello Stato, di qualsiasi Stato, è inutile chiedere favori. È il loro lavoro non fare respirare, calpestare e soffocare ogni slancio vitale. Si arruolano appositamente per questo, per godere del potere di togliere il respiro a chi sta sotto di loro. Vengono addestrati e pagati appositamente per questo, per impedire ogni movimento di chi sta sotto di loro.