Radiografia di un avvenimento

Contropelo

Radiografia di un avvenimento

Alfredo M. Bonanno
 
Nella società post-industriale un avvenimento non si presenta mai come un oggetto esterno e chiuso in se stesso, di cui si sappia qualcosa e quindi di cui si possa dire qualcosa.
In sostanza l’elaborazione di un linguaggio sufficientemente critico in grado di parlare di un determinato avvenimento, nelle condizioni attuali, non è possibile. Qui sto provando a farlo, possiedo un linguaggio affinato in un ventennio di esercitazioni politiche e sociali, ma non posso dirmi effettivamente certo di possedere uno strumento adeguato a parlare di un avvenimento come quello che per comodità d’intendere posso anch’io chiamare “mani pulite”. In effetti l’uso di un linguaggio diverso dovrebbe consentirmi di accedere a conclusioni diverse, ed è proprio quello che voglio fare, ma le mie parole rinviano ad una ridondanza complessiva che è quella dell’ascolto quotidiano, per cui esse attraversano una infinità di altre scritture, e quindi di altre letture, dove si ripercuotono fino ad estinguersi nel proprio significato originario.
Dovrei potermi mettere sulle tracce del motivo generatore, del tratto fondamentale dell’avvenimento, insomma pervenire alle sue radici. Ma come fare?
Come superare l’enorme barriera continuamente crescente delle parole?
E quando fossi in grado di individuare l’etimo nascosto dell’avvenimento, come garantirmi che quell’intuizione non mi sfugga di mano diventando incomprensibile a causa del movimento stesso delle chiacchiere che continuano a prodursi?

Collassologia

Brulotti

Collassologia: un discorso reazionario?

Jean-Baptiste Fressoz
 
Il tema del tracollo della civiltà industriale, molto presente a partire dagli anni 70, ritorna oggi alla ribalta. Dalla pubblicazione del best-seller Collapse di Jared Diamond nel 2005 (Collasso, Einaudi), è tutto un susseguirsi di nuovi saggi, articoli e conferenze, che predicono un «crollo» a breve termine delle grandi strutture produttive e politiche del mondo industriale. Questa moda del collasso — alla quale non si riduce il pensiero ecologico contemporaneo — è ovviamente legata alla crisi ambientale: la sesta estinzione delle specie, il prevedibile riscaldamento di 3°C nel 2100 e, più in generale, lo sconvolgimento dei cicli biogeochimici, in breve, ciò che gli scienziati del sistema Terra chiamano «antropocene». Ma «crollo» è la parola giusta? È il modo giusto di descrivere e quindi di pensare ciò che sta accadendo? Senza esprimere un’opinione definitiva, vi intravedo perlomeno quattro problemi.

A cattiva società, cattiva energia

Brulotti

A cattiva società, cattiva energia

 

A quanto pare non tutti i militanti della CGT (il più grande sindacato francese) hanno dimenticato il vecchio Émile Pouget, l’anarchico che 123 anni or sono riuscì a far adottare dalla loro organizzazione il sabotaggio come strumento d’azione contro il padronato. Fu lui difatti l’artefice della mozione presentata ed approvata al Congresso Confederale di Tolosa, nel 1897, che sanciva: «Ogni volta che scoppierà un conflitto tra padroni ed operai, sia che il conflitto sia provocato da esigenze padronali, sia che sia provocato dall’iniziativa operaia, nel caso in cui risulterà che lo sciopero non dia i risultati voluti dai lavoratori, questi ultimi applichino il boicottaggio od il sabotaggio — o entrambi contemporaneamente». 
Ebbene, martedì scorso, 17 dicembre, le idee di Pouget si sono scrollate di dosso la polvere degli archivi per tornare a respirare un po' d'aria fresca. Durante il tredicesimo giorno di sciopero generale dei trasporti, indetto per protestare contro la prevista riforma delle pensioni voluta dal governo Macron, una serie di black-out ha paralizzato le attività in molti edifici in tutto il paese.

Suonare la ritirata

Fuoriporta

Suonare la ritirata

Dopo mesi di trattative col potere, i sindacati all'inizio di dicembre hanno infine partorito il loro sciopero contro «la riforma delle pensioni». Benché ci si ostini a chiamarlo «generale» sia fra i dirigenti sindacali sia all’interno della «base» (senza tralasciare «i radicali», naturalmente!), ciò è palesemente fuori luogo. Nel momento in cui scriviamo, riguarda principalmente i trasporti e i funzionari statali, spalleggiati da qualche bastione più «combattivo» del sindacalismo, come è il caso delle raffinerie. Riaffiora come un mantra il solito ritornello: da un lato c'è il famoso «non molliamo» e dall’altro «non cambieremo il principio della riforma». È improbabile che questo scenario, già visto così tante volte, finisca diversamente del gioco delle tre carte: alla fine, dopo aspre trattative e pugni sbattuti sul tavolo, si fa la conta delle forze presenti. Il sipario si chiude: si molla comunque su qualcosa (creazione di un regime unico) da un lato e si modificherà in parte il principio dall'altro (mantenimento di specificità di deroga, come quelle già accettate per gli sbirri il 12 dicembre).

Nemmeno di venerdì

Intempestivi

Nemmeno di venerdì

Per imporsi con le sue continue contraddizioni, il bispensiero ha bisogno di rendere la psiche degli individui molto fluida, facendoli vivere solo nel e sul presente: la verità è ciò che il Partito (cioè lo Stato) dice. O meglio, è ciò che sta dicendo. E che, un attimo dopo, potrebbe capovolgersi nel suo esatto contrario. L'obiettivo finale del potere è quindi spezzare il rapporto dell'individuo con la verità del significato, con la sua profondità storica, al fine di renderlo un essere totalmente malleabile, cioè manipolabile. In fondo è un ideale condiviso da tutte le grandi ideologie a partire dall'inizio del XX secolo: plasmare l'essere umano, riuscire a fargli credere qualsiasi cosa, addestrarlo a negare il minimo senso e talvolta anche la testimonianza dei propri sensi. Si tratta di un progetto quasi del tutto realizzato, essendo diventato il bispensiero la cosa più condivisa. 
In quale altro modo spiegarsi la pretesa di difendere la natura dal progresso industriale che la devasta, mentre si sostiene la scienza e ci si rivolge ai governanti che finanziano e realizzano questo stesso progresso? Se nel caso della giovanissima Greta Thunberg si può forse parlare di ingenuità, negli adulti che la adulano di cosa si può parlare?

Smartphone, suonerie, capitale

Intempestivi

Smartphone, suonerie, capitale

 

«Credo che entro la prossima generazione i padroni del mondo scopriranno che il condizionamento infantile e la narco-ipnosi sono più efficienti come strumenti di governo di manganelli e prigioni, e che la loro brama di potere potrà essere completamente soddisfatta suggestionando le persone ad amare la loro schiavitù, invece di fustigarle e ridurle all'obbedienza».
(Aldous Huxley, lettera a George Orwell del 21 ottobre 1949)
 
 
Mezzo secolo fa, piazza Fontana. L’avvio della cosiddetta strategia della tensione. Una bomba esplodeva all'interno di una banca affollata, a pochi passi dal Duomo di Milano. Oltre cento vittime fra morti e feriti, una strage di sangue perpetrata al fine di diffondere in tutto il paese la paura, il terrore e l'angoscia necessari per far scattare il riflesso condizionato dell'ordine. Seminare un panico tale da giustificare, se non far invocare, l'intervento dello Stato (anche mediante il suo braccio armato poliziesco, anche mediante la sospensione di alcune libertà date per acquisite). 
Mezzo secolo dopo piazza Fontana, siamo in piena strategia della distensione. Dopo le bombe, lo smartphone.

Danser avec les flammes

Ostrogoto [fr]

Danser avec les flammes

L’ampleur de la révolte au Chili n’est pas liée à tel ou tel serrage de vis, à tel ou tel groupe, mais à quelque chose de bien plus profond : la soif de liberté. Une liberté partagée qui ne pourra que passer sur le cadavre de la domination — des églises aux partis, de l’économie à la politique en passant par le patriarcat — pour s’affranchir des chaînes de l’existant. Une liberté contagieuse qui ne peut avancer qu’en détruisant tout ce qui fait la misère de nos vies, à travers un négatif d’où pourra surgir quelque chose de complètement différent.

Avviso di tempesta

Papiri

Avviso di tempesta (speciale Cile)

 
L’ampiezza della rivolta in Cile non è legata a questo o a quell’altro giro di vite, a questo o a quell’altro gruppo, ma a qualcosa di ben più profondo: la sete di libertà.
Una libertà condivisa che potrà passare solo sul cadavere del dominio — dalle chiese ai partiti, dall’economia alla politica, passando per il patriarcato — per liberarsi delle catene dell’esistente.
Una libertà contagiosa che può avanzare solo distruggendo tutto ciò che costituisce la miseria della nostra vita, attraverso un negativo da cui possa sorgere qualcosa di totalmente differente.
E, certo, senza pietà e senza alcun riguardo per l’attuale ordine che ci schiaccia. 
 
[traduzione di Avis de tempêtes n. 23bis, 28/11/19]

Prostituzioni

Brulotti

Prostituzioni

«Onore a quelle che preferiscono eroicamente la morte all’infame prostituzione… Il mio cuore di donna le glorifica. Ovviamente comprendo che una donna abbia un amico o dieci amici, se ciò le aggrada. Ma concedersi senza desiderio, per un pezzo di pane… commercio odioso che la stessa scusa dell’amore materno non può purificare»
Libertaire, 29 luglio
 
È in un articolo le cui idee in generale mi sembrano eccellenti, che Félicie Numietska scrive questo paragrafo.
Che questa compagna non provi il desiderio di andare ad offrire il suo corpo al passante in fregola, che la maggior parte delle donne la pensi alla stessa maniera, lo capisco molto facilmente.
Ma, che pensare dell’idea di stare piegate dodici o quindici ore a cucire, di andare a sfinirsi in laboratori malsani dove per due o tre franchi le donne stirano, cuciono, battono a macchina, inscatolano zucchero o dolci in stanzoni senz’aria e con una temperatura pari a quella di una serra…
Non è prostituire le proprie braccia? Non è prostituire la propria forza, la propria salute, la propria gioventù? Dedicare ore ed ore a simili lavori non è prostituirsi del tutto?
E non è prostituire il proprio cervello insegnare ai bambini cose notoriamente false, scrivere libri ed articoli non per la gioia di diffondere le proprie idee, ma per guadagnare denaro?

Apocalissi e ragion di Stato

Brulotti

Apocalissi e ragion di Stato

Nicola Chiaromonte
 
Ma la bomba era stata fabbricata per conto di uno Stato, ed era normale che le ragioni di Stato prevalessero: avevano anch’esse una loro logica, che era la logica dei risultati immediati.
Nell’immediato, quel che occorreva era la certezza dell’efficacia massima, e questa non si poteva avere che servendosi della bomba sul serio. Poi si sarebbe visto.
Quel che si è visto è la prosecuzione meccanica della logica della ragion di Stato, la logica dell’immediato e dell’efficacia. Si è arrivati a una situazione, la presente, in cui la decisione se usare o no le armi assolute finisce col dipendere non da una decisione umana, ma da un calcolo elettronico delle probabilità più o meno grandi che una certa situazione individuata da certe macchine sia quella in cui un certo Stato, essendo minacciato di morte imminente, non ha altra scelta che scatenare sull’avversario la medesima minaccia. 
Non si sapeva dove si andava nel 1945, lo si sa sempre meno oggi.