Que crève le vieux monde !

Ostrogoto [fr]

Que crève le vieux monde !

Albert Libertad

Ah ! Ah ! C’est le jour de l’an !

La voix claire de l’enfant et la voix cassé du vieillard entonnent la même ballade : la ballade des vœux et souhaits.
L’ouvrier à son patron, le débiteur à son créancier, le locataire à son propriétaire disent la ritournelle de la bonne et heureuse année. Le pauvre et la pauvresse s’en vont par les rues chanter la complainte de la longue vie.

Crepi il vecchio mondo!

Brulotti

Che crepi il vecchio mondo!

Albert Libertad

Ah! Ah! È Capodanno!
La voce chiara del ragazzo e la voce spezzata del vecchio intonano la stessa ballata: la ballata dei voti e degli auguri.
L'operaio al suo padrone, il debitore al suo creditore, l'inquilino al suo proprietario, ripetono lo stesso ritornello del buono e felice anno.
Il povero e la povertà se ne vanno per le strade a cantare la cantilena della lunga vita.
Ah! Ah! È Capodanno!
Bisogna che si rida! Bisogna che ci si diverta. Che tutti i volti assumano un atteggiamento di festa. Che tutte le labbra lascino sfuggire i migliori auguri. Che su tutte le facce si disegni il ghigno della gioia.

Pacificazione sociale e cittadinismo

Brulotti

Pacificazione sociale e cittadinismo

Assemblea llibertària St. Andreu (Barcellona)

La pacificazione delle lotte

Se le strade parlassero, urlerebbero un sentimento di disfatta. Ai giorni nostri parlare di rivoluzione, di rivolta o di insurrezione significa parlare di Storia. Di epoche in cui certuni si permettevano di sognare un cambiamento radicale delle strutture sociali. Quei tempi sono ripiombati, restituiti, polverizzati dalle nuove democrazie, dal capitalismo e dal progresso. Ogni prospettiva rivoluzionaria si è perduta con l'interiorizzazione della logica del potere, della paura, dell'impotenza. Alcuni modelli sono stati assunti come valori propri, mentre hanno appena alimentato i meccanismi grazie ai quali i padroni del mondo generano e preservano le loro vite privilegiate. Sono state istituite la giustizia, la salute, l'economia. I nostri bisogni, i nostri desideri, i nostri sogni sono diventati merci. Tutto viene strettamente regolato da leggi, da procedure amministrative e da istituzioni; tutto viene delegato ad altri. È l'accettazione del dominio.

Sincopi

Brulotti

Sincopi

La sincope è una momentanea sospensione dell'attività cardiocircolatoria e cerebrale che provoca una perdita improvvisa e transitoria della coscienza. Gli effetti possono essere irrilevanti, un momentaneo scombussolamento, ma talvolta possono anche essere più gravi. In alcuni casi se l'interruzione del flusso di sangue nell'organismo umano si prolunga oltre certi limiti sopraggiunge la morte. Fra tutte, la "sincope oscura" — quella cioè priva di cause identificate, logiche — è considerata la più pericolosa. Perché non consente ai medici, tecnici del corpo, di intervenire.
Anche il funzionamento dell'organismo sociale è garantito da un insieme di flussi. Flussi di merci, di persone, di dati, di energie. Flussi che possono sospendersi per i motivi più svariati. Un guasto tecnico, ad esempio. Oppure un furto di materiali. Magari un sabotaggio.

Ne les appelez pas monstres

Ostrogoto [fr]

Ne les appelez pas monstres

Les monstres, ces êtres aux passions anormales, brisent le calme et troublent les âmes. Ils provoquent de l’horreur. Même si parfois ils suscitent de la curiosité, et parfois même de la sympathie, leur existence est solitaire. Personne n’aime rester longtemps à côté d’un monstre, contre qui un jour ou l’autre la chasse sera ouverte. C’est pourquoi ils ne sont pas « vraiment dangereux ». Les êtres communs, au contraire, ces hommes et ces femmes qui ne font qu’exécuter les ordres, qui ne font que leur devoir, qui n’ont pas de passions intérieures, que des pressions extérieures – eux sont bel et bien dangereux.

Buon Natale, bastardi!

Brulotti

Buon Natale, bastardi!

Anche quest'anno, con monotona regolarità di calendario e triste preparazione d'inverno, la data del venticinque dicembre è qui come un avvenimento calcolato, conosciuto ed inevitabile, a riscuotere la considerazione insipida dell'ipocrisia convenzionale. La neve ugualmente e desolatamente bianca nelle campagne, e calpestata e sporca nelle vie delle città, stende il suo mantello sulla superficie del mondo, coprendolo d'un gelo immobile che sembra l'espressione tangibile d'una metafora d'inerzia; di nulla e di morte. La scena è così completa, preparata, uniforme; e Cristo è giunto su di essa. Oggi, secondo la tradizione che tutti rispettano senza credervi più, il Nazareno è nato per l'ennesima volta; è nato tra la neve che circonda la leggendaria capanna e la paglia che le serve da pavimento; tra la pace profonda dell'universo, il respiro degli animali che riscaldano la culla e il pelligrinaggio lento dei fedeli rispettosi e confusi.

Non chiamateli mostri

Intempestivi

Non chiamateli mostri

«I mostri esistono, ma sono troppo pochi per essere davvero pericolosi. Sono più pericolosi gli uomini comuni, i funzionari pronti a credere e obbedire senza discutere...»
(Primo Levi, Se questo è un uomo)
 

I mostri, questi esseri dalle passioni abnormi, sconvolgono la quiete e turbano gli animi. Provocano orrore. Anche se talvolta suscitano curiosità, e magari pure simpatia, la loro è un'esistenza solitaria. Nessuno ama stare a lungo accanto ad un mostro, contro cui prima o poi si apre la caccia. Ecco perché non sono «davvero pericolosi». Gli esseri comuni, invece, quegli uomini e quelle donne che eseguono solo gli ordini, che fanno solo il loro dovere, che non hanno passioni interiori, solo pressioni esteriori — loro sì che sono pericolosi. Sono pericolosi perché hanno alle spalle una società intera.
Quando un mostro è assetato di sangue, come Jack lo Squartatore, ammazza cinque o sei persone. Un funzionario non è mai assetato di sangue. E quindi, come ad esempio un generale, massacra centinaia di migliaia di persone senza emozione.

Architettura e anarchia?

Contropelo

Architettura e anarchia: una coppia male assortita?

Jean-Pierre Garnier

La pratica dell'architettura stessa ne risente, più che mai segnata da elitarismo e autoritarismo. Sognare di «democratizzarla», come fecero studenti «contestatari» della disciplina una trentina di anni fa, è a questo proposito un non-senso. Preoccupati soprattutto di scuotere la tutela dei loro «grandi maestri», alcuni erano arrivati sino a richiamarsi al maoismo – o almeno a quello che se ne percepiva nei saloni o nelle sale dei seminari – per incitare l'architetto a «scendere dal suo piedistallo», a praticare il «ritorno alla base» per mettersi «all'ascolto delle masse». Non appena entrati nella professione, questi rivoluzionari del tavolo luminoso si affrettarono a ricollegarsi con la tradizione mandarinale. Il punto è che non avevano mai rotto con essa.
Può esistere allora, a proposito della creazione architetturale, un punto di vista anarchico che non sia puramente negativo, per non dire iconoclasta?

Bocca d'oro

Brulotti

Bocca d'oro

È già stato detto. Anche la notte è un sole. Anche l'assenza di mito è un mito: il più freddo, il più puro, il più vero. Il denudamento perfeziona la trasparenza, la sofferenza precisa la gioia. L'assenza di Dio non è sinonimo di chiusura, se non per le menti sciocche. Di fatto, apre all'infinito. Come diceva con assennatezza un papa, l'essere umano è assetato d'infinito: se non lo trova nella religione, rischia di cercarlo nell'utopia. Chi, avvezzo agli stomaci occidentali, è pronto ad irridere la materialità di una simile constatazione, farebbe bene a pensare alla facilità con cui dall'altra parte del pianeta si passa dall'incanto estatico alla sommossa furiosa.
C'è una via di mezzo che protegge l'ordine della religione contro il disordine dell'utopia, il mito. Il mito è quella realtà che non è realtà, è quell'utopia che non è utopia. Il mito accompagna sempre la rivolta, ma non si sa se nelle vesti di complice o di guardiano.

Si va o si fischia?

Intempestivi

Si va o si fischia?

«Dove c'è rivoluzione, c'è confusione.
Dove c'è confusione, un uomo che sa ciò che vuole
c'ha tutto da guadagnare»

 

Davanti ai disordini che in questi giorni hanno turbato molte strade d'Italia, i militanti sono perplessi. Di fronte a questi blocchi, a questi assalti, a questi scontri, messi in atto da chi è distante anni luce da ogni tensione sovversiva, viene subito loro in mente il celebre interrogativo: che fare?
Si va o si fischia? – Magari, si va e si fischia. Anzi no, si fischia e non si va. Mah, e se invece si va, prima si fischia e poi si applaude?
Da una parte, quella del non-si-va, non ci sono dubbi. Questi forconi che si incrociano coi tricolori, questi manifestanti che applaudono la polizia, questo miscuglio di commercianti impauriti per i loro profitti calanti, di fascisti bramosi di cavalcare la tigre e di ultras con qualche prurito alle mani, tutto ciò non è e non può essere roba nostra.

Vittoria sul Sole

Miraggi

Vittoria sul Sole

Aleksej Kručenych

Nel luglio del 1913 si incontrarono in Finlandia tre esponenti dell'avanguardia russa: il poeta Aleksej Kručenych, il compositore Mihail Matjušin ed il pittore Kazimir Malevič. L'incontro venne seguito da un manifesto in cui si annunciava la creazione di un'opera-mistero intitolata Vittoria sul Sole. Un'opera teatrale, di cui Kručenych avrebbe scritto il testo, Matjušin composto la musica, e Malevič disegnato scenari e costumi. Un altro poeta, Velimir Chlébnikov, ne scrisse il prologo. L'opera andò in scena il 3 e il 5 dicembre 1913 a Pietroburgo, dividendo il pubblico fra spettatori entusiasti e quelli indignati. Il sipario non si sollevava, veniva squarciato su uno scenario in cui campeggiava per la prima volta il “quadrato nero” di Malevič che sarebbe poi diventato simbolo del Suprematismo. Qui entravano in scena i protagonisti di un'opera dai toni assurdi, drammatici e patetici assieme — perfetta espressione del linguaggio «transmentale» caro a Kručenych — in cui si annuncia l'annientamento dell'obsoleta logica terrena, simboleggiata dal Sole, e la realizzazione di un futuro che superava i limiti della comprensione umana. Vittoria sul Sole non ebbe repliche, né recensioni.

Il martello senza padrone

Brulotti

Il martello senza padrone

René Char, il paradosso

 
«Non è per orgoglio ma provo un disgusto panico al pensiero di
stare accanto a certe carogne in un'opera di poesia... 
Abbiamo ragione noi, non perché siamo stati o restiamo surrealisti, ma perché siamo i pionieri
di un continente proibito e splendidamente recalcitrante, la contro-terra» 
Lettera a Maurice Blanchard, 20 aprile 1943
 
 
Dal greco parádoksos, composto da pará (contro) e doksos (opinione). Un paradosso è in aperta contraddizione col meccanismo logico, reale o presunto, che sottosta alle nostre azioni, cioè con l’esperienza comune. È ciò che contrasta con i principi e le opinioni generali, pur dimostrandosi valido. Nella sua stra-ordinarietà il paradosso frusta le certezze acquisite, contraddicendo ogni presupposto logico dato per scontato. Imbattersi in René Char (1907-1988) significa prendersi in faccia una di queste frustate, tramortenti quanto salutari.

«A Gênes, les jours sont tous égaux»

Ostrogoto [fr]

«A Gênes, les jours sont tous égaux» (1)

En effet, il semblerait que ce soit le cas. Dans la capitale de la Ligurie, une cour de justice a récemment condamné deux anarchistes à une dizaine d’années de prison pour avoir jambisé en mai 2012 un administrateur de l’industrie nucléaire.
A Gênes encore, il y a quelques années, une cour de justice a condamné plusieurs rebelles (certains anarchistes, d’autres pas, cela n’a pas d’importance) à une dizaine d’années de prison pour avoir participé en juillet 2001 aux émeutes contre le G8.

10, 100, 1000 Nassiriya

Intempestivi

10, 100, 1000 Nassiriya

Una data fa da spartiacque. Dal 12 novembre 2003 la popolazione italiana si è ulteriormente spaccata in due. C’è una maggioranza che ha pianto la morte dei diciannove militari saltati in aria nell’attentato avvenuto a Nassiriya: un lutto nazionale, secondo giornalisti ed istituzioni. A morire tragicamente, in quella terra lontana, sono stati i “nostri ragazzi”. Italiani, come noi, che vivevano accanto alla nostra porta di casa, mangiavano lo stesso nostro cibo preferito, tifavano per la nostra stessa squadra del cuore. Morti, uccisi barbaramente da stranieri, dalla lingua incomprensibile, dai costumi sconosciuti, dai gusti discutibili. Le loro bare ricoperte dallo straccio tricolore, le lacrime dei loro familiari, filmate e mostrate infinite volte nel tentativo di suscitare unanime cordoglio. Eppure c’è anche — una minoranza, certo! — chi non ha pianto affatto, anzi, ha esultato alla notizia dell’attentato. E da allora continua a gioire ogniqualvolta un militare italiano viene messo nell’impossibilità di proseguire le proprie “missioni” all’estero.

La torta intera

Intempestivi

La torta intera

Dallo sciopero selvaggio all'autogestione generalizzata – un sogno che ha titillato molti sovversivi del passato, e che sta titillando anche molti sovversivi del presente.
Dopo gli autisti dei trasporti pubblici di Genova, quelli di Firenze; dopo Firenze, l'Italia?
Che esempio straordinario sarebbe. I lavoratori che, vessati dalle brame padronali e stanchi dell'impotenza sindacale, scavalcano i loro inutili rappresentanti per riunirsi finalmente in assemblea e decidere da soli in quale energica maniera costringere i padroni a... rispettare il loro diritto a briciole di sopravvivenza.
Perché, per quanta retorica si possa fare sulle forme assunte da queste lotte, resta comunque il problema del contenuto. E non si tratta nemmeno del limite delle rivendicazioni riformiste.

«Genova ha i giorni tutti uguali»

Brulotti

«Genova ha i giorni tutti uguali»

In effetti, parrebbe di sì. Nel capoluogo ligure una corte di giustizia ha da poco condannato due anarchici ad una decina d'anni di prigione per aver azzoppato nel maggio del 2012 l'amministratore di un'industria nucleare.
Sempre a Genova, qualche anno fa, una corte di giustizia ha condannato alcuni ribelli (anarchici oppure no, non ha importanza) ad una decina d'anni di prigione per aver partecipato nel luglio 2001 agli scontri contro il G8. Con i secondi la "dea bendata munita di spada" si è accanita un po' di più, ma a differenza dei primi non usufruivano degli sconti di pena previsti per il rito abbreviato. Comunque sia, a conti fatti, non c'è una vistosa differenza.
Lo Stato non fa differenze quando si tratta di suoi nemici dichiarati. Che in mezzo a tanti altri manifestanti spacchino vetrate di banche e lancino sassi contro le forze dell'ordine, o che da soli facciano fuoco contro manager dell'atomo, fa lo stesso. Sono comunque colpevoli di rivolta, di non sottomissione.

Non diamo i numeri

Intempestivi

Non diamo i numeri

Invece si continua a darli! Se fosse solo per andare alla ricerca della fortuna, sarebbe poco male.
Purtroppo si insiste a concedere al numero un potere persuasivo, una capacità probatoria.
E ciò rende il suo ricorso non solo privo di senso e magari imbarazzante, come abbiamo già avuto modo di notare, ma talvolta financo odioso. Due recenti notizie lo dimostrano ampiamente.
Per lo scorso 25 novembre era stata proclamata la «giornata mondiale contro la violenza sulle donne».
Probabilmente sull'onda (mediatica) dello stillicidio di molestie, aggressioni, stupri, violenze, omicidi subite dalla metà del cielo umano c'è chi (l'ONU) ha pensato bene di indire una simile ricorrenza.
Il fatto, in sé, non avrebbe attirato la nostra attenzione se non fosse stato accompagnato qui in Italia da una martellante, quanto curiosa, quanto disgustosa propaganda.

Senza illusioni...

Fuoriporta

Senza illusioni...

A Zurigo deve essere costruito un nuovo «Centro di polizia e di giustizia» (Polizei und Justizzentrum) al posto della vecchia stazione merci (inizio della demolizione nel 2013) che raggruppa in uno stesso edificio 30 commissariati già esistenti, diverse strutture repressive e 300 posti per prigionieri. Per giustificarlo, viene sbandierato il bisogno di maggiore sicurezza e si parla persino di «volontà popolare». Ma si tratta della volontà di chi, della sicurezza di chi? Insomma, chi ha interesse a rinchiudere persone che nuocciono al buon funzionamento di questa società? Di sicuro coloro che traggono profitto dall'economia, e non coloro la cui forza lavoro viene sfruttata. Di certo i ricchi ed i governanti, non i poveri e i governati! In fondo, qui si tratta della sicurezza dei nostri oppressori, che sono assolutamente in diritto di temere d'essere derubati da coloro che spingono nella povertà, di temere la collera di coloro che sfruttano e umiliano ogni giorno, di temere le rivolte di coloro a cui rubano la libertà e che sono incoraggiati dai sollevamenti in Grecia e nell'Africa del Nord. E di questa sicurezza, della sicurezza dei nostri oppressori, non ce ne frega nulla!

Papillons

Ostrogoto [fr]

Papillons, amour libre et idéologie

Aviv Etrebilal

Il est rassurant de voir, pour certaines générations du marécage anti-autoritaire, que les dogmes desquels nous partons trop souvent, qui nous bouffent et nous font tourner en rond dans un vase clos sont parfois remis en question. Que lorsque certains principes idéologiques finissent par causer des dommages collatéraux humains, nous sommes capables de les remettre en question, de les abandonner ou de les reformuler. Un texte sorti récemment par des compagnons a probablement réussi à provoquer des discussions passionnantes et importantes.

Farfalle

Contropelo

Farfalle, amore libero e ideologia

Lettera sull’incoerenza

Aviv Etrebilal

È rassicurante vedere che, per alcune generazioni dell’acquitrino antiautoritario, i dogmi da cui troppo spesso partiamo, che ci divorano e ci fanno girare in tondo in una scatola chiusa, vengono messi in discussione. Che quando certi principi ideologici finiscono per causare danni collaterali umani, siamo capaci di criticarli, abbandonarli o riformularli. Un testo che alcuni compagni hanno pubblicato di recente sembra essere riuscito a dare origine a discussioni appassionanti ed importanti. La forza di quel testo era in certo qual modo il ritorno all’individualità, che tutti abbiamo più o meno sostituito con dei dogmi e con l’ideologia, sostituendo anche gli individui con delle persone-tipo. E se quel genere di discussioni, sul libero amore, la coppia, la pluralità, la gelosia, la non-esclusività, etc. esiste effettivamente tra noi, forse soprattutto in situazioni in cui le persone vivono assieme e a volte hanno perso il senso dell’intimità (squat, comunità, etc.) più che altrove, mancava in effetti la volontà di farne una discussione pubblica, tramite un testo che non fosse destinato solo a passare sottobanco all’interno di una o due bande di amici e amiche.