Macchianera

Gradualismo catastrofico

George Orwell
 
Lo Yogi e il commissario
Arthur Koestler
Liberal Libri, Firenze, 2002
 
 
C'è una teoria che non è stata ancora formulata con accuratezza e nemmeno ha finora avuto un suo nome, ma che è molto largamente accettata ed è messa avanti ogni qualvolta occorra giustificare qualche azione che urta contro il senso di decenza del medio essere umano. Si potrebbe chiamarla, finché non si trovi qualche nome migliore, la teoria del Gradualismo Catastrofico. Secondo questa teoria, nulla viene mai ottenuto senza sangue, menzogne, tirannia ed ingiustizia – ma d'altra parte non ci si possono aspettare mutamenti considerevoli nemmeno dal più grande sommovimento. La storia procede necessariamente attraverso calamità, ma ciascuna età sarà cattiva quanto quella cui succede, o poco meglio. Non si deve protestare contro le epurazioni, le deportazioni, le polizie segrete e così via, perché questo è il prezzo che occorre pagare per il progresso; ma d'altra parte la «natura umana» farà sempre sì che il progresso sia lento o magari impercettibile. Se tu obietti alle dittature sei un reazionario, ma se ti aspetti che le dittature producano dei buoni risultati sei un sentimentale.
Questa teoria è usata il più delle volte, nel nostro tempo, per giustificare il regime di Stalin nell'URSS, ma è ovvio che potrebbe anche usarsi – e dato il caso si userebbe – per giustificare altre forme di totalitarismo. Essa ha guadagnato terreno per effetto della Rivoluzione russa – fallita nel senso che non ha esaudito le speranze suscitate venticinque anni fa. Nel nome del socialismo il regime russo ha commesso praticamente tutti i delitti che si possano immaginare, ma in compenso nello stesso tempo la sua evoluzione lo allontana dal socialismo – a meno che non si ridefinisca questa parola, dandole un senso che nessun socialista del 1917 avrebbe accettato come vero. Due strade soltanto sono aperte per coloro che riconoscono questi fatti. Una consiste nel semplice ripudiare l'intera teoria del totalitarismo – il che pochi intellettuali hanno il coraggio di fare. L'altra porta a ripiombare indietro nel Gradualismo Catastrofico. La formula che si spiega di solito è: «Non si può fare una frittata senza rompere le uova». Ma se si domanda: «Bene, ma dov'è la frittata?», la risposta sarà suppergiù: «Oh bene, non puoi aspettarti che tutto accada in un momento».
Questa discussione, naturalmente, è proiettata all'indietro nella storia, con l'intenzione di far vedere che ogni passo in avanti è stato ottenuto a costo di delitti atroci, e non avrebbe potuto essere altrimenti. L'esempio usato generalmente è la distruzione del feudalesimo ad opera della borghesia, che si suppone delineasse in anticipo la distruzione del capitalismo da parte del socialismo nel nostro tempo. Si sostiene: il capitalismo era, ai suoi tempi, una forza progressiva, e perciò i suoi delitti di allora erano giustificati, o almeno non avevano importanza. Così, nel New Statesman, s'è sentito Kingsley Martin rimproverare ad Arthur Koestler di non possedere una «vera prospettiva storica», e comparare Stalin con Enrico VIII. Stalin, egli ha ammesso, ha fatto cose terribili: ma in conclusione egli ha servito alla causa del progresso, e non può permettersi di oscurare questo fatto a qualche milione di essere umani «liquidati». Analogamente, il carattere di Enrico VIII lasciava molto a desiderare: ma dopo tutto egli ha reso possibile il sorgere del capitalismo, e perciò alla fine deve essere considerato un amico dell'umanità.
Ora, Enrico VIII non pare molto somigliante a Stalin: Cromwell si presterebbe ad una migliore analogia. Ma ammettendo per Enrico VIII l'importanza che gli dà Martin, dove condurrebbe il suo ragionamento? Enrico VIII ha reso possibile la nascita del capitalismo, che ha prodotto gli orrori della Rivoluzione industriale, e dopo di essa un ciclo di guerre immani la prossima delle quali si profila come distruttrice dell'intera umanità. Guardando nell'insieme il processo potremmo esprimerlo così: si deve perdonare tutto ad Enrico VIII perché alla fine è lui che ci ha reso capaci di farci a pezzi da soli con la bomba atomica.
Si finisce in assurdità simili se si considera Stalin responsabile della nostra condizione attuale e del futuro che pare si prepari dinanzi a noi, e poi allo stesso tempo si insiste che occorre sostenere la sua politica. Io suppongo che i motivi per cui certi intellettuali sostengono la dittatura russa siano diversi da quanto dicono in pubblico: tuttavia, è logico perdonare la tirannia e il massacro se si ritiene che il progresso sia inevitabile. Se ciascuna epoca è naturalmente migliore della precedente, allora può giustificarsi qualsiasi delitto o follia che spingano avanti il processo storico. E si può perdonare chi nel periodo, grosso modo, dal 1750 al 1930 immaginava di stare realizzando il progresso di una specie solida e misurabile. Ma dopo, ultimamente, è divenuto sempre più difficile pensarlo. Da qui la teoria del Gradualismo Catastrofico. I delitti seguono i delitti, una classe dominante ne surroga un'altra, la Torre di Babele s'innalza e frana, ma non si deve resistere a questo processo – anzi, bisogna essere pronti ad applaudire ad ogni specie di birbanteria che vien fuori – perché in qualche mistico modo, di fronte a Dio, o magari di fronte a Marx, questo è Progresso. Un'alternativa vi sarebbe: fermarsi a considerare: a) fino a che punto la storia è predeterminata? b) che cosa s'intende per progresso? A questo punto, si deve chiamare lo Yogi perché corregga il Commissario.
È generalmente ritenuto che nel suo molto discusso saggio Koestler penda marcatamente dalla parte dello Yogi. Di fatto, se si considera che lo Yogi ed il Commissario sono in punti opposti della scala, allora Koestler è un po' più prossimo al punto del Commissario. Egli crede nell'azione, nella violenza quando è necessaria, nel governo – e quindi nei cambiamenti e nei compromessi che sono inseparabili dal governo. Egli ha sostenuto la guerra, e prima di essa il Fronte Popolare. Fin dalla apparizione del fascismo, ha lottato contro di esso come meglio ha potuto, ed è stato per molti anni iscritto al Partito Comunista. Il lungo capitolo del suo libro in cui egli critica l'URSS è perfino viziato da una persistente fedeltà al suo vecchio Partito e dalla tendenza risultante a stabilire che tutti i cattivi sviluppi cominciano con l'avvento di Stalin, mentre io credo si dovrebbe ammettere che il seme del male c'era fin dall'inizio, e le cose non sarebbero state diverse nella sostanza se Trotzky o Lenin fossero rimasti al comando. Nessuno è meno di Koestler nell'atto di pretendere che noi possiamo mettere tutto a posto soltanto guardandoci l'ombelico. Né egli sostiene, come accade in genere ai pensatori religiosi, che una «mutazione dell'animo» debba avvenire prima di qualsiasi miglioramento politico. Per dirla con le sue stesse parole, «non possono salvarci né il santo né il rivoluzionario; ma solo la sintesi dei due. Non so se noi siamo capaci di giungere a tanto. Ma se la risposta fosse negativa, allora pare che non vi sarebbe più ragionevole speranza di prevenire la distruzione della civiltà europea, o mediante la Guerra Assoluta che succede alla guerra totale, o mediante la conquista bizantina – entro i prossimi decenni».
Questo equivale a dire che sì, la «mutazione dell'animo» deve accadere, ma non accade realmente mai a meno che essa si esprima passo dopo passo in «azione». D'altra parte, nessun cambiamento nella struttura della società può in se stesso effettuare un miglioramento reale. Era solito definire il socialismo come «la proprietà comune dei mezzi di produzione»: ma ci si accorge ora che, se la proprietà comune significa soltanto il suo controllo centralizzato, allora non fa altro che lastricare la strada verso una nuova forma di oligarchia. Il controllo centralizzato è una condizione preliminare del socialismo, ma di per sé non produce il socialismo – come la macchina per scrivere non produrrebbe da sola quest'articolo ch'io sto scrivendo. Attraverso la storia, una rivoluzione dopo l'altra – benché producenti di solito un temporaneo sollievo, quale un malato ottiene cambiando di fianco nel suo letto – hanno semplicemente condotto ad un mutamento di padroni, perché nessuno sforzo serio è stato compiuto per eliminare l'istinto del potere, o seppure talvolta un tale sforzo è stato compiuto, ciò è accaduto ad opera dello Yogi, del santo, dell'uomo che salva la sua anima ma a prezzo di ignorare la comunità. Nello spirito dei rivoluzionari attivi, o almeno di quelli che «arrivano alla meta», l'aspirazione ad una giusta società è sempre stata fatalmente commista insieme alla intenzione di assicurarsi potenza per sé.
Koestler dice che dobbiamo imparare daccapo la tecnica della contemplazione, la quale «rimane la sola sorgente di orientamento nei dilemmi morali, dove il semplice criterio della regola-del-pollice dell'utilità sociale fallisce». E per «contemplazione» egli intende «la volontà di non volere», la conquista del controllo sul proprio desiderio di potenza. Gli uomini pratici ci hanno condotto sull'orlo dell'abisso. Gli intellettuali la cui accettazione della politica di potenza ha ucciso dapprima il senso morale e poi il senso della realtà, ci stanno sollecitando a marciare in avanti, rapidamente, senza mutare direzione. Koestler sostiene che la storia non è predeterminata in tutti i suoi momenti, che vi sono punti di svolta in cui l'umanità è libera di scegliere la strada migliore o quella peggiore. Uno di tali punti di svolta, che non era ancora apparso quando egli scriveva il suo libro, è la Bomba Atomica. O noi rinunciamo ad essa, od essa ci distruggerà. Ma rinunciarvi è nello stesso tempo uno sforzo politico ed uno sforzo morale. Koestler ci chiama ad «una nuova fraternità in un nuovo clima spirituale, i cui leader siano legati da un voto di povertà a dividere la vita delle masse, ed ai quali le leggi della fraternità vietino di accedere a qualsiasi potere non limitato e controllato». Egli aggiunge: «se ciò sembra utopia, allora il socialismo è utopia». Può non essere nemmeno una utopia, il suo stesso nome può in un paio di generazioni aver cessato di essere perfino un ricordo – a meno che riusciamo a sfuggire alla follia del «realismo». Ma questo non accadrà senza una mutazione dell'animo individuale. Ed è fino a questo punto, ma non oltre, che lo Yogi ha ragione di fronte al Commissario.
 
[Commonwealth Review, novembre 1945]